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   Una pratica repressiva: la deportazione
    in Italia di sudditi coloniali


“La deportazione tornò comunque a essere massicciamente praticata nel corso della
guerra con la Turchia per la conquista della Libia (1911-1912). Tale scelta fu concepita
dapprima come atto di rappresaglia in risposta all’insurrezione araba di Sciara Sciat del
24 ottobre 1911 che di colpo smentì le ottimistiche attese di chi sperava che l’elemento
indigeno arabo non avrebbe mai fatto causa comune con i Turchi contro gli Italiani. Molti
dei rivoltosi furono così passati per le armi; mentre un certo numero di loro fu deportato
sulle isole Tremiti dove furono costretti a vivere in condizioni miserevoli. Fu quello solo
l’inizio; nel giro di un anno i deportati libici (trasportati anche a Ponza, Gaeta, Ustica e
Favignana) furono più di 3000. Di questi sfortunati solo un’esigua minoranza clicca qui per ingrandire l’immagine poté
rientrare in patria alla fine del conflitto.
I più ebbero invece a morire per malattie
infettive e affezioni polmonari favorite dalle
penose condizioni igieniche e dallo stato di
malnutrizione in cui furono lasciati. Un caso
singolare – sempre in ambito libico – fu poi
quello delle migliaia di ascari libici che,
nell’agosto del 1915, nel timore di una loro
possibile diserzione, furono imbarcati su
sette piroscafi e trasferiti a Siracusa e infine
in una sorta di campo di concentramento a
Floridia e a Canicattini Bagni; l’idea era
quella di impiegarli su teatro di guerra alpino. La cosa però non ebbe seguito e, a quel
punto, non inviati sulle alture carsiche o sulle montagne trentine ma ’arenati’ in una
piana siciliana, agli ascari fu impedito persino di fare ritorno a Tripoli: furono trattenuti
così per circa un anno (internati? relegati?) a Floridia abbandonati ed esposti alle
malattie”.


di **Marco Lenci


“A cent’anni da Sciata Sciat ci sono famiglie in Libia che vorrebbero almeno sapere dove sono
sepolti i loro cari.”
(Angelo Del Boca - Italiani, brava gente)

Dello stesso Del Boca vi presentiamo alcuni frammenti tratti dal libro "Italiani Brava gente?"
ed. Neri Pozza 2005 (in formato pdf 200kb).

Nota a margine: Con un comunicato congiunto del 4 luglio 1998, Italia e Libia si erano impegnate
a compiere ricerche sulla deportazione di libici nel nostro paese.
Che cosa accadrà ora?

 

   La guerra aerea

Nel corso della guerra, per la prima volta viene usata l’aviazione sia nella ricognizione sia nel bombardamento dei combattenti libici e della popolazione civile.
Questa la cronaca che ne fece il quotidiano torinese "La Stampa" il 2 novembre 1911.

 

Le torpedini del cielo

TRIPOLI, 1, ore 15 (ufficiale)
La notte e la giornata di ieri sono trascorse tranquille. Stamane i nostri aviatori hanno segnalato
la presenza di tre nuclei di nemici di cui si è già parlato nei giorni scorsi e nei medesimi luoghi.
Uno degli aviatori è riuscito a lanciare con pieno successo in un accampamento 4 bombe di
picrato tipo Gipelli.

È arrivata la duchessa d’Aosta.
Nessuna novità dagli altri porti.

Preghiere che salgono al cielo e bombe che dal cielo scendono sul nemico


clicca qui per ingrandire l’immagine ROMA, 1 , notte
Il fatto nuovo, l’avvenimento inaudito nella
storia universale della guerra, si è compiuto questa
mattina a Tripoli per virtù di ufficiali italiani contro
il nemico turco: i nostri aviatori militari hanno lanciato
dal cielo, con sicuro successo, quattro bombe su di un
accampamento di nemici. E’ una guerra nuova che
s’inizia: la guerra dal cielo, la più temeraria e la più
terribile, quella che è destinata a sconvolgere i vecchi
príncipi di arte strategica elaborata nei secoli.
A Roma la notizia ufficiale dell’audace esperimento compiuto dai nostri ufficiali aviatori ha destato immensa
impressione e grande entusiasmo. (…)

 

Le bome lanciate dall’alto
I capitani Piazza e Moizo e il tenente Gavotti stavano eseguendo intanto audaci esplorazioni coi loro velivoli.
Il vento era cessato e le navicelle aeree volarono lontano. Il tenente Gavotti , specialmente, con felice successo,
scoprì una avanguardia nemica di duemila uomini accampati nella piccola oasi di Ain Zara: inoltre scopriva
numerosi armenti di pecore e di buoi che servono al vettovagliamento
del campo ottomano. L’Acqua di Zara (ain in arabo significa acqua,
sorgente) è una minuscola oasi a dodici chilometri a sud-est di Tripoli
e a sei chilometri dal forte di Mesri occupato dai nostri.
Fu appunto durante questa operazione che il tenente Gavotti
sperimentò per la prima volta il suo aeroplano Edrich come arma di
offesa. Nel mezzo dell’accampamento nemico il tenente Gavotti
lasciò cadere quattro granate a mano. Erano bombe a mano di
picrato di tipo Cibelli.
Il tenente Gavotti, interrogato dopo l’audace colpo, disse che
specialmente una di queste granate produsse uno scompiglio
indescrivibile: egli udì un fuggire di uomini in tutte le direzioni.
Anche gli armenti si dispersero qua e là per le dune del deserto.
La pioggia sterminatrice ha evidentemente portato il terrore in quelle
anime superstiziose. Il primo esperimento di velivoli trasformati in
arma da guerra, in torpediniere del cielo, è un’altra prova
dell’ardimento italiano.

“Ho deciso di tentre oggi di lanciare delle bombe dall’aereo. È la prima volta che si tenta una cosa
di questo genere e se riesco sarò contento di essere il primo”.
(da una lettera di Giorgio Gavotti al padre datata 1 Novembre 1911)

 

   Per conoscere e approfondire

Bibliografia di Angelo Del Boca

altri titoli:

 

 

 

**Docente di Storia dell’Africa presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa.
Autore di varie ricerche sul colonialismo italiano in Eritrea, a tale tematica ha dedicato i volumi:
"Eritrea e Yemen. Tensioni italo-turche nel Mar Rosso 1855-1911" (Milano, Franco Angeli,
1990
) e "All’inferno e ritorno. Storie di deportati tra Italia ed Eritrea in epoca coloniale"
(Pisa, BFS, 2004).

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