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   La strage di Portella della Ginestra

La strage di Portella della Ginestra non rappresentò soltanto un episodio di criminalità
politica maturato nel particolare contesto siciliano, ma anche la spia di un deterioramento
complessivo della situazione italiana con la rottura dell’unità delle forze democratiche
antifasciste e l’esasperazione dei contrasti sociali e politici.

 

   Il movimento contadino

Nella storia più che secolare del Primo Maggio in Italia la pagina più sanguinosa venne scritta
nel 1947 a Portella della Ginestra .
Qui, riprendendo una consuetudine risalente all’epoca dei Fasci siciliani e interrotta dal fascismo,
si erano dati appuntamento i contadini di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato
e San Cipirello. Circa duemila persone - uomini, donne, bambini e anziani - erano giunte a dorso
di mulo, a bordo di carretti e anche a piedi, portandosi dietro le bandiere, gli strumenti musicali,
cibo e dolci.
Si predisponevano ad una festa, avendo motivo di rallegrarsi.

 

Dopo anni di sottomissione a un potere feudale, sorretto dal fascismo e dalla mafia, la Sicilia
stava vivendo una fase di rapida crescita sociale e politica.
Con la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi,
le masse contadine vedevano finalmente realizzarsi le loro aspirazioni.
Dopo lo sbarco degli alleati, già nell’autunno 1944 un grande movimento organizzato aveva
conquistato il diritto di occupare e avere in concessione le terre incolte o mal coltivate del
latifondo. Uno sconvolgimento sociale così radicale non poteva non ripercuotersi sul piano
politico, e infatti alle elezioni del 20 aprile 1947 per la prima Assemblea regionale siciliana
le sinistre avevano conseguito una netta vittoria. il "Blocco del Popolo" era divenuto la
forza di maggioranza relativa, a spese della Democrazia cristiana, in vertiginosa caduta rispetto
ai risultati ottenuti alle precedenti elezioni per la Costituente.

L’offensiva del movimento contadino e il prevalere delle forze di sinistra suscitarono l’allarme in chi
vedeva minacciato il proprio potere, ritenuto intoccabile. La reazione degli agrari alla crescita
impetuosa del movimento contadino era stata rabbiosa e cruenta. Per riprendersi il controllo
della situazione la mafia si servì del separatismo affidando alla banda di Salvatore Giuliano
il compito di intimidire e uccidere i sindacalisti, i capi lega, i dirigenti dei partiti della sinistra.
In cambio dei suoi servigi il bandito si fece promettere l’impunità e la possibilità di riparare
all’estero.


   La strage

Nonostante i colpi ricevuti, il
movimento contadino non si
era piegato e allora qualcuno
ritenne giunto il momento di
sferrare il colpo decisivo.
L’occasione sarebbe stata
offerta dalla manifestazione
del 1º Maggio, anche perché
il luogo in cui doveva
svolgersi si prestava
particolarmente ad un
agguato.
La piana di Portella della
Ginestra
era infatti dominata
dai monti Cumeta e Pizzuta
e da lì sarebbe stato facile
aprire il fuoco con le
mitragliatrici contro la folla esposta ai colpi e senza possibilità di riparo.
Tutto venne predisposto con cinica cura e per l’occasione la banda Giuliano era stata rinfoltita con
alcuni giovani prezzolati.
Il primo oratore, Giacomo Schirò, aveva appena iniziato a parlare quando si udì un crepitio
di colpi. Non tutti si resero ben conto di quanto stava accadendo e qualcuno pensò si trattasse
di mortaretti fatti esplodere intempestivamente in segno di festa. A qualcun altro tornarono forse
alla mente le oscure e inquietanti parole ascoltate in paese: “ partite cantando, tornerete
piangendo”
. Alla vista degli animali abbattuti e delle prime persone colpite fu chiara a tutti la
tragedia che si stava compiendo. Il terrificante bilancio della sparatoria fu di undici morti
e oltre cinquanta feriti.

 

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