La sezione ANPI di Voghera, come contributo alle celebrazioni per il 150º anniversario 
dell’Unità d’Italia, rievoca la storia di vita e di passioni ideali di Carlo Pisacane,
il patriota, rivoluzionario e letterato italiano risorgimentale, che diede il nome ad 
una delle brigate partigiane che combattè nell’Oltrepo pavese nelle fila della
Divisione garibaldina "Aliotta". 
 
Carlo Pisacane nacque a Napoli il 
22 Agosto 1818, figlio della nobile
 famiglia dei duchi di San Govanni.
 A 14 anni intraprese la carriera 
militare entrando nel collegio militare 
della "Nunziatella".Nel 1843 venne 
promosso tenente. A causa degli 
eventi negativi e delle pressioni che
seguirono la sua relazione con una 
giovane donna sposata, nel 1847 
abbandonò la carriera militare (gesto 
di ribellione che indicava la sua
 insofferenza per il conformismo degli 
ambienti militari e della società 
borbonica) e si stabilì, con la sua 
amata (Enrichetta De Lorenzo), 
prima a Livorno poi Marsiglia,
 Londra e Parigi (inseguiti e 
perseguitati, nei loro spostamenti
 dalla polizia napoletana). 
In seguito si arruolò
 nella "legione straniera" francese e, con il grado di sottotenente, fu
fu impegnato in Algeria contro gli uomini  dell’emiro Abd-el-Kader.
Venuto a conoscenza dei "moti di Milano" del 1848 si congedò dalla "legione" e si diresse nel 
 capoluogo lombardo, che raggiunse il 14 Aprile, e combattè, nell’ultima fase della prima guerra
 d’indipendenza, criticando aspramente la diffidenza di Carlo Alberto verso i volontari,
 (che indicò, nel suo scritto "sul momentaneo ordinamento dell’esercito lombardo in aprile 1848"
 quale importante espressione di una lotta popolare), ed inoltre la lentezza e le indecisioni 
dell’esercito sabaudo.
La disfatta di quell’esperienza ( fu anche ferito al braccio  destro il 25 giugno)  non lo scoraggiò,
 anzi si rafforzò nel suo pensiero la concezione del  carattere della guerra popolare.  
Nel 1949 insieme a Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, è uno degli artefici della difesa
 della Repubblica Romana. Nominato membro della commisssione di Guerra ed in seguito capo 
di stato maggiore dell’esercito romano,
difese strenuamente la Repubblica dai francesi, chiamati 
da Papa Pio IX. Nonostante essa ebbe vita breve (5 mesi, dal 9 febbraio al 4 luglio) l’esperienza
 
capitolina fu significativa nella storia dell’unificazione italiana e  
Carlo Pisacane, che organizzò un 
esercito di volontari arrivati da tutta Italia, riuscì anche a cogliere dei significativi successi, come
 la vittoria del 30 Aprile contro le truppe di Napoleone III. 
Il 3 luglio 1849 venne arrestato e imprigionato in Castel Sant’Angelo. Liberato poco dopo, 
grazie all’intervento della moglie (Enrichetta si prodigò durante la Repubblica Romana come
 infermiera), partì  esule per Marsiglia, poi per Losanna ed infine 
approdò a Londra. 
È di questo periodo lo scritto "Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49" dove polemizzava 
sia con Garibaldi (a cui imputatava  velleità dittatoriali) sia con  Mazzini accusato di formalismo, 
cioè a tendere ad un cambiamento formale e non sostanziale del governo e delle basi della
 società.
Carlo Pisacane pensava che se la nuova rivoluzione italiana non fosse stata anche una 
rivoluzione sociale sarebbe andata incontro ad un fallimento. Il suo indirizzo politico, che via via 
maturò, si rivolse ad un socialismo vicino all’anarchismo proudhoniano.
 Antiautoritario, in estrema sintesi egli fu uno dei precursori del 
socialismo libertario. 
Nell’autunno del 1850 è a Genova dove
 scrisse i suoi "Saggi storici-politici-militari
 sull’Italia" (pubblicati postumi nel 1859).
Nel 1856 fondò il periodico "La parola
 libera".
Si riavvicinò a Mazzini e, prendendo spunto
 dai suoi suggerimenti, pianificò il progetto di
 una spedizione nell’Italia meridionale.
Dopo un primo tentativo abortito, il 
25 Giugno 1857 con altri 24 giovani (tra i
 quali l’ufficiale calabrese Giovanni Nicotera), 
si imbarcò sul  piroscafo "Cagliari" (diretto a 
Tunisi), la nave della compagnia Rubbattino
 che, in alto mare, mise sotto il suo controllo. 
In vista delle coste napoletane, non riuscì
 ad incontrare la goletta che avrebbe dovuto 
rifornire i rivoluzionari di armi.
Pisacane ed i suoi uomini sbarcarono il 
27 Giugno sull’isola di Ponza, dove liberarono
  328 detenuti (imprigionati quasi tutti per reati 
comuni, solo 11 erano i prigionieri politici).
Di questi, Trecento lo seguirono nello
sbarco a Sapri, ma Napoli, che secondo il piano della spedizione nel Mezzogiorno avrebbe 
dovuto insorgere grazie all’opera del Comitato napoletano, non si mosse.
Anzi, il governo borbonico, a conoscenza dell’impresa rivoluzionaria, mise in allarme tutte le
 piazze militari e passo all’azione.
Il gruppo venne localizzato ed attaccato. Le truppe regie godettero inoltre dell’appoggio delle
 masse contadine le quali, sobillate dal clero ed aizzate dalle autorità locali che sparsero la voce 
 di un imminente "sbarco di trecento ergastolani pronti a uccidere e saccheggiare", 
aggredirono ferocemente gli uomini che, per ironia della sorte, erano venuti a "liberarli" dal 
giogo tirannico-feudale dei Borboni. Il primo Luglio a Padula 25 rivoluzionari furono trucidati, 
mentre alcuni scampati al massacro furono consegnati ai militari.
A Sanza nei pressi di Salerno  furono ancora aggrediti dalla popolazione. 
Perirono in 83.Carlo Pisacane, ferito, si uccise con un colpo di pistola.
Processati ( nel Gennaio 1858) e condannati a morte i superstiti vennero, in seguito, graziati
 dal Re che tramutò la pena in ergastolo.
Garibaldi, dopo la liberazione del Mezzogiorno dai Borboni, con decreto dittatoriale, assegnerà
 un
vitalizio di 60 ducati a Silvia (figlia di Carlo Pisacane). La stessa Silvia verrà adottata da
 Giovanni Nicotera, che assolse così la promessa da lui fatta a fatta a Pisacane poco prima
del suo suicidio.
In ricordo di questo eroica ma disgraziata impresa, Luigi Mercantini compose l’ode celeberrima
dal titolo "La Spigolatrice di Sapri".