L’ANPI Voghera commenta
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- 25 Aprile 2015 -
Voghera 25 Aprile 2015: orazione ufficiale di Luca Baiada tenutasi nella sala consiliare della Città di Voghera
Pubblichiamo il testo dell’
orazione ufficiale (accolta al suo termine da un prolungato applauso) che
Luca Baiada,
(magistrato presso la Corte Militare d’Appello di Roma), ha tenuto,
nella
sala consiliare della
Città di Voghera in occasione del
70º Anniversario della Liberazione.
Orazione ufficiale tenutasi il 25 aprile 2015 nella sala consiliare della Città di Voghera
Luca Baiada
Il 25 aprile è sempre una giornata meravigliosa.
Leggevo qualche giorno fa un intervento di un importante corsivista, che scriveva così: «In questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezze e di corruzioni, di persecuzioni
della miseria e di silenzi per gli avventurieri di alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani appena si affacciano alla vita, apriamo le finestre: e i giovani respirino l’aria pura delle montagne e risentano i canti dell’epopea partigiana».
Come non essere d’accordo? Il punto è che le parole che avete appena sentito le ha dette Piero Calamandrei nel febbraio del 19541 . E se erano così valide allora, ma sono così valide anche adesso, qualche domanda bisogna porsela. Perché anche adesso ci sono
gli scandali, le evasioni fiscali, le dissolutezze, le corruzioni, le ingiustizie.
La Resistenza, la Liberazione, sono il corpo di un gigante che ha bisogno delle nostre mani per fare, delle nostre gambe per camminare, della nostra bocca per parlare. Queste conquiste che festeggiamo il 25 aprile sono il pegno di una lotta che comincia molto, molto prima dell’8 settembre 1943, e che è ancora
nelle nostre mani. Quando comincia - si chiede lo storico Alessandro Portelli - una storia? Dipende da come raccontiamo. E la Resistenza potremmo farla cominciare all’indomani del 23 marzo 1919, fondazione dei Fasci di combattimento. Non è un caso che proprio in quella
ricorrenza, il 23 marzo 1944, sia il giorno di uno degli episodi più coraggiosi della Resistenza italiana: l’attacco in via Rasella, a Roma. Quando finisce la Resistenza? Finisce quando le conquiste che sono state sognate e progettate prima dagli antifascisti, dagli esiliati, dai confinati, poi dai partigiani,
sono completamente realizzate. È dunque, più che un passato, un progetto: un progetto nelle nostre mani.
In questo percorso, la storia della guerra di Liberazione nell’Oltrepo ha qualcosa di esemplare. È qui, una delle percentuali più basse, in tutta Italia, di adesione ai bandi militari della repubblichina: meno del cinque per cento. Ed è significativo anche che - per eseguire la condanna a morte di Mussolini e dei gerarchi - si volle
che proprio dall’Oltrepo venissero i partigiani, in quanto combattenti particolarmente coraggiosi, determinati e fidati, in un momento eccezionalmente delicato.
Alcuni dei nomi luminosi della Resistenza nell’Oltrepo li abbiamo già sentiti oggi. Per esempio quello di Jacopo Dentici, coraggioso e giovanissimo partigiano, stretto collaboratore di Ferruccio Parri, assassinato in campo di concentramento. Ma ce ne sono molti altri. Per esempio vorrei ricordare Emilio Sturla, ferito e
poi lasciato morire dai nazifascisti, secondo un modello di assassinio esemplare, diffuso nell’occupazione dell’Italia; ce ne sono altri, il primo che viene in mente è Brunero Giovannelli, in Valdinievole, in Toscana, anche lui viene ferito e lasciato morire. Ma tanti altri nomi di tanto caro sangue, vengono alla memoria, quando si parla di queste storie.
Quello che però è particolarmente esemplare nell’Oltrepo è la cooperazione stretta, già accennata poco fa dal sindaco, tra forze di diverso orientamento. Perché si vede davvero, oltre ogni contrasto, il tessuto di una collaborazione e di una costruzione che sarà poi determinante per l’Italia democratica. Ci sono le bande
socialiste, quelle comuniste, quelle azioniste, che sono particolarmente forti in questa zona. C’è la collaborazione dei cattolici, che sono in realtà presenti, a contraddire certe ricostruzioni ingenerose, un po’ dappertutto. Ed è questo che fa la forza della Resistenza nell’Oltrepo.
Pierino Cristiani. Lui è: un alpino, è un alpino combattente, è un alpino che viene catturato, è un alpino che viene liberato catturando un tedesco per fare uno scambio importante; e dopo lo scambio Pierino Cristiani continua a combattere. Ma Pierino Cristiani non è soltanto un alpino, è un parroco: per liberare un parroco si muove
una formazione laica che cattura un tedesco… quanta bella storia, dentro tutto questo, quanta unione di forze diverse, quanta storia esemplare, le energie migliori che si spendono senza guardare troppo agli schieramenti. Ma possiamo ricordare anche Paolo Ghigini, anche lui un sacerdote, ucciso dai nazifascisti, probabilmente più dai fascisti che dai nazisti. E tanti altri.
Forte, nell’Oltrepo, la storia della zona libera di Varzi, comprendente diciassette comuni, che comincia la sperimentazione, come in altre zone libere, di quello che sarà la presa di coscienza e la presa sui fatti. La Resistenza non è solo combattere, ma anche costruire, prendersi la responsabilità, fare ciò che il fascismo ha voluto togliere e negare.
La deresponsabilizzazione, che il fascismo ha inoculato nel popolo italiano, viene combattuta con la ripresa della gestione del potere, da parte di forze che devono necessariamente organizzarsi, scendere a compromessi, imparare giorno per giorno che cos’è la gestione della democrazia.
Qui ci sono le grandi battaglie, alcune delle quali sono descritte dagli storici come combattute solo in parte da partigiani armati, ma in altra parte persino da contadini, all’arma bianca, in scontri epocali, scontri di largo respiro che comprendono il combattimento così come è possibile, in tutti i modi.
Qui ci sono le grandi retate, i rastrellamenti, qui ci sono le violenze sulle donne. Una vecchia leggenda racconta che soltanto gli Alleati commettevano gli stupri. Sappiamo che non è così, erano anche i tedeschi, o i non tedeschi in divisa tedesca. Sono qui, i cosiddetti mongoli, sono in realtà dei caucasici che militano in divisa tedesca, e che saranno
ricordati: lasceranno una scia di sangue e di violenza.
Qui ci sono le stragi, il capitolo forse meno conosciuto. Anche qui l’occupazione è segnata da eccidi, e ricorderò soltanto Pozzol Groppo, Verretto, Cascina Bella. Una parte della storia dei quindicimila morti italiani delle stragi, dal 1943; in realtà da prima dell’8 settembre 1943, perché le prime stragi tedesche sono nel Mezzogiorno
prima ancora della caduta del fascismo - saranno denunciate dal governo Badoglio e poi dimenticate, ma queste stragi sono già a giugno-luglio 1943 - e si continuerà a uccidere anche dopo, dopo il 25 aprile, quella che consideriamo come data di riferimento della Liberazione: ci sono stragi persino a maggio. Sono i quindicimila morti di cui sappiamo in fondo così poco.
La storia di queste stragi sarà nascosta in un’altra storia, questa volta di sangue sepolto: la storia dell’armadio della vergogna, le centinaia e centinaia di fascicoli che saranno nascosti un po’ alla volta, da dopo il 1945, fino al provvedimento illegale di archiviazione provvisoria del 1960. Si potrà riaprire questo archivio della vergogna soltanto nel 1994, la sua storia
coincide quasi con quella del Muro di Berlino. E con quanta fatica si rimetteranno i moto i processi per celebrarne solo alcuni! Solo una parte, di quella giustizia che si è potuta fare così poco. E quanto ancora c’è da sapere su ciò che è accaduto in Italia, anche qui, e che è stato invece nascosto! Una commissione parlamentare ha lavorato su questo argomento dal
2003 al 2006, gli atti sono stati depositati nel febbraio 2006. Sono passati anni, ma ancora non si è riusciti a sapere di più, ad avere una discussione parlamentare su questo.
È forse l’unica delle grandi commissioni parlamentari della storia dell’Italia repubblicana che non abbia avuto un passaggio parlamentare in aula. E questo ci dice quanto ancora c’è da capire, su questo argomento.
L’anno scorso una interpellanza parlamentare, la numero 504, a firma di quasi tutti i gruppi, primo firmatario l’onorevole Speranza, ha chiesto di poter finalmente riaprire questa storia, di discutere in Parlamento la storia dell’armadio della vergogna, di attivare il governo italiano per l’esecuzione in Germania della giustizia pronunciata ma non potuta realizzare in Italia, di desegretare
gli atti della commissione parlamentare. Ebbene, gli atti della commissione parlamentare non sono stati mai discussi in Parlamento, e neppure l’interpellanza è mai stata trattata. L’anno scorso si sperava di sentirla discutere, ma neppure nel settantesimo della Liberazione italiana si è riusciti a discutere l’interpellanza che chiede a sua volta di discutere. Quanto è faticosa la giustizia su
certi argomenti, in Italia! Magari si potesse far meglio, quest’anno, ecco, per il settantesimo della Liberazione.
L’anno scorso c’è stato il ventennale dell’apertura dell’armadio della vergogna, quest’altra storia di cui non sappiamo neppure il giorno preciso, non sappiamo in che giorno preciso del 1994 fu riaperto quell’archivio. Davvero, è faticosa la giustizia in Italia!
Ma è un segno importante avere alla presidenza della Repubblica un uomo, Sergio Mattarella, che come primo atto del suo mandato è andato in visita alle Fosse Ardeatine, e questo è un gesto molto bello. E a proposito di giustizia nei confronti delle vittime delle stragi nazifasciste: proprio questo presidente della Repubblica faceva parte del collegio giudicante della Corte costituzionale che l’anno
scorso, di ottobre, ha riaperto la questione della responsabilità dello Stato tedesco per il risarcimento dei danni alle vittime delle stragi. Anche lui, era in quel collegio giudicante, presieduto dal presidente Tesauro, e anche questo è un elemento importante che ci fa sperare che si possa avere più giustizia.
Tutta questa tematica, lo sappiamo, non è passato, ma un sostegno del presente, un sostegno delle conquiste costituzionali. Non ci sono conquiste costituzionali senza giustizia. Le conquiste costituzionali hanno bisogno di attuazione, hanno bisogno di rilancio. La Costituzione ha segnato un progetto, ma la Costituzione è figlia della Resistenza e della Liberazione, non è figliastra. La Costituzione ci
dice che noi abbiamo in mano il presente, che noi dobbiamo avere in mano il nostro futuro. Certo, la Costituzione è stata scritta in tempi in cui la gestione della democrazia si poteva fare in un modo meno costoso di quello attuale. Oggi, la realizzazione dei diritti sociali che la Costituzione pone come suo obiettivo passa anche attraverso la spesa, ed è per questo motivo che è così importante che il popolo italiano,
attraverso le istituzioni democraticamente elette, possa gestire anche questo.
Nel 2011 sono venuti a Roma, in Parlamento, Elke Baumann e Christian Kastrop. Sono due alti burocrati economici tedeschi. E sono venuti in Parlamento a spiegare come doveva essere cambiata la Costituzione italiana. Ora, che ci sia confronto istituzionale fra Stati diversi, nell’Europa unita, è un fatto importante. Però, che si debba fare ciò che dicono dei burocrati tedeschi per blindare la Costituzione sul pareggio di bilancio,
in maniera a dir poco piuttosto frettolosa, è una cosa che lascia qualche dubbio, e su cui ci sono state anche di recente certe perplessità in alta sede, forse un po’ tardive, adesso che l’articolo 81 è stato cambiato. E fu approvato a suo tempo senza neppure un voto contrario, solo con una manciata di astenuti (e come si possa astenersi su un argomento del genere, un giorno ci sarà spiegato).
Mentre poco fa si ricordavano i nomi degli italiani e delle italiane che hanno combattuto per la libertà di questo paese, io mi chiedevo quel che avrebbero detto se avessero saputo cosa sarebbe accaduto molti anni dopo. Non tanto che i tedeschi avrebbero avuto opinioni sulla Costituzione italiana - la libertà è garantita, i partigiani sono morti anche per la loro libertà, e c’erano
anche disertori tedeschi, fra i combattenti della Resistenza - ma che certe posizioni sarebbero state recepite senza un voto contrario, con una ricezione acritica e automatica. Forse si sarebbero chiesti qualcosa. Sarebbe disonesto far parlare i morti, e comunque sono argomenti delicati e complicati. Però è importante che le modifiche istituzionali, e non solo costituzionali, siano affrontate con il massimo approfondimento possibile,
e soprattutto senza blindature.
Nel 1953 la legge truffa fallì, ma la legge truffa era stata approvata in Parlamento, ed era stata approvata con un’altra manovra frettolosa - e quanto è brutta, la fretta su certi argomenti - era stata approvata con un voto di fiducia, perché De Gasperi mise il voto di fiducia sulla legge elettorale. È una vicenda che forse
è stata ricordata, in questi giorni, ma a me dev’essere sfuggito, a me sembra che non l’abbia ricordato nessuno, che era stato messo il voto di fiducia sulla legge elettorale. E il voto di fiducia su una legge elettorale è una cosa molto, molto pericolosa. La sinistra, allora, chiese un referendum sulla legge elettorale, e la
risposta di De Gasperi - fu da statista, e va ricordata - fu così: il referendum c#8217;è già, il referendum sono le elezioni, perché se non scatterà il premio di maggioranza, vorrà dire che il popolo italiano vuole il sistema elettorale proporzionale senza correzione. Ed è proprio quello che accadde: la legge
truffa, approvata grazie al voto di fiducia, non scattò perché il corpo elettorale la respinse, e forse questo va ricordato, in questi giorni preoccupanti. All’epoca Piero Calamandrei commentò così, a cose fatte, a pericolo passato: «Rare volte era avvenuto che un governo al potere con tanta impudenza trasportasse la questione di fiducia
dal campo parlamentare a quello elettorale. Ma la Resistenza ha resistito».
Ecco, noi vogliamo che anche adesso, che anche domani, che anche sempre, la Resistenza possa resistere. E anche su questo ci piace molto, lo consideriamo un punto di riferimento bello, importante, che ci rassicura, che ci scalda il cuore, che l’attuale presidente della
Repubblica facesse parte della Corte costituzionale, non solo nella bellissima sentenza dell’ottobre 2014, sulla responsabilità della Germania per le stragi naziste, ma anche del collegio della Corte costituzionale che ha deciso l’altra bellissima sentenza che ci piace
molto, quella del gennaio 2014, quella che ha fatto piazza pulita di una legge elettorale disonesta. Noi lo consideriamo una garanzia, nel momento in cui qualcuno mette mano alla legge elettorale - che forse ha bisogno, di qualche intervento - in una maniera che la fretta fa considerare preoccupante.
Certo, in punto di istituzioni e in punto di tutela dell’integrazione europea - la Costituzione rende necessaria la spesa, e sulla spesa ci vuole controllo, e troppe volte su questo argomento la classe dirigente italiana ci ha delusi - è importante che ci siano delle garanzie e che ci sia stabilità. Eppure quanta distanza, fra ciò che sta scritto nel Manifesto
di Ventotene, forse il primo documento così alto sull’integrazione europea, non in Italia ma in Europa - manifesto fatto uscire faticosamente, pare, anche in bigliettini nascosti in una borsetta, una storia che solo a sentirla commuove - quanta distanza fra come si stava allora al confino a Ventotene e come si sta comodi nell’Eurotower! Ecco, noi quando pensiamo
all’Europa ci piace pensare al Manifesto di Ventotene, e molto meno all’Eurotower.
L’integrazione con l’Europa è necessaria, ma sentite queste parole di un germanista, una persona non sospettabile di antipatie o faziosità:, Marianello Marianelli, in un suo scritto intitolato Minima germanica.
Siamo nel 1952: «"Come fate - chiedevo a un professore (non ha importanza chi) - un ’idealista’ che ha fatto sempre poca fortuna fra gli S.A. - dopo aver difeso una dottrina
così ’locale’, così legata alla terra e al sangue, a convertirvi di colpo a una visione di solidarietà internazionale?" - "Lei dimentica - mi dice il professore con assoluta serietà - che in fondo a ogni buon
tedesco c’è sempre stata l’idea della comunità e dell’unità europea, del Reich dei popoli d’Europa"» 2.
Ecco, noi l’integrazione europea la vogliamo, ma certi retrogusti, certe implicazioni, certi sottintesi,
quelli non ci piacciono. E per l’integrazione europea, quella che ci piace, quella del Manifesto di Ventotene, abbiamo tutti buona memoria.
Mentre invece una classe dirigente, non esclusivamente tedesca, ma europea nel senso imperiale dell’Europa, in un senso che per certi versi è persino prenovecentesco, quella vuole altri rapporti di forza, di fronte ai quali ci chiediamo come si fa a conservare il meglio, come si fa a non farsi rubare
l’anima, a conservare il piccolo violino che il protagonista dell’Histoire du soldat di Stravinskij si fa sottrarre in cambio di denaro stregato, dal Diavolo? Come facciamo a
conservare ed attuare il progetto di costruire una società di uomini liberi, di donne libere, progetto ostacolato da un quadro di potere fatto di sottostima e di squalifica profonda, da un quadro che rode la nostra autostima e ci fa sentire sempre meno cittadini, a dispetto di una cittadinanza formale? Come facciamo a conservare il meglio?
In fondo, la politica delle rappresaglie, la politica della terra bruciata, la politica del sangue di allora, che noi adesso dolorosamente ricordiamo, un po’ non si riproduce in una politica di sudditanza che ci fa sentire soltanto dei numeri, in una società dove i rapporti di forza sono non di sangue, ma ancora di violenza?
Voglio chiudere con le parole di una canzone, la canzone di festa di Liberovici con le parole scritte da Franco Antonicelli, antifascista, confinato, comandante partigiano, e cucite insieme, dicono, partendo da canti popolari che venivano trasmessi da radio partigiane di fortuna.
Dicono così:
«Nera camicia nera, che noi t’abbiam lavata, non sei di marca buona ti sei ritirata. Si sa, la moda cambia quasi ogni mese, ora per il fascista s’addice il borghese».
Ma attenzione, perché le mode possono tornare, e così come cambiano possono anche tornare indietro, e già abbiamo visto tornare la brillantina e le scarpe bicolori. E chissà che anche il fascista non possa,
se gli torna comodo, ritornare ad altre mode di abbigliamento. È una cosa da tenere presente.
L’antifascismo - scrive sempre Antonicelli - è «storia di una lotta per insegnare la lotta, storia di una resistenza per insegnare la resistenza».
Viva il 25 aprile, viva la Liberazione!
1 18 febbraio 1954, in Piero Calamandrei,
Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 32.
2 Marianello Marianelli,
Minima Germanica, in «Il Ponte», VIII n. 11 (novembre 1952).