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   L’ANPI Voghera commenta Abbiamo voluto dedicare questa pagina web alle prese di posizione, ad eventuali polemiche verso fatti ed
episodi accaduti in città o nella nostra provincia.
L’obbiettivo è quello di sollecitare dibattiti, evidenziare avvenimenti e notizie, comunicare la nostra posizione sulla vita 
sociale e culturale nazionale ed iriense.
- 23 Giugno 2010 -
 
 Fogli di carta straccia
 
E’ così che mi sento, come un  foglio di carta strappato
 da un notes d’appunti, accartocciato e buttato là, con 
noncuranza, accanto al cestino portarifiuti.
  E non potrei sentirmi  altrimenti, io, operaio, figlio di
 operai, cresciuto con quell’orgoglio d’appartenenza  ad 
una classe sociale che, sognavo con non poca
 mitizzazione, una volta  presa piena coscienza di sé, si
 sarebbe riscattata e, prendendo per mano  l’intera
 collettività, si sarebbe avviata verso un mondo 
migliore e più giusto.
Ed invece mi trovo ora, defraudato persino della mia 
dignità, deriso e denigrato, come se non bastasse
già il peso di essere un ”invisibile”, costretto a "navigare"
 sulla  stessa barca con altri “invisibili”, con  altri figli di 
un dio minore, i Migranti.
Dopo il “ricatto”, il diktatdi Pomigliano ci avviamo a 
diventare come fogli di un notes da usare e gettar via, 
simili ad altri fogli, quelli dove  sono stati vergati gli 
articoli della  nostra Costituzione, divenuti oramai
pezzi di carta straccia.
Operai e Costituzione. 
E’ un legame indissolubile  perché in essa i diritti 
dei lavoratori, hanno la stessa dignità dei diritti  sociali
 e di quelli che fanno riferimento alla libertà della
persona, anzi essi si fondono assieme, sono un
corpo unico.
Ed è per questo che in questi  giorni sono entrambi
 attaccati, vilipesi, insudiciati da  questo mare di volgarità.
Pomigliano è  la sintesi, la summa di un disegno preciso che usa la “crisi” per disfarsi, una 
 “volta per tutte”, dei lacci  e lacciuoli che questo sistema di potere politico ed economico vede 
ormai come anticaglie fastidiose, da eliminare, anche se questi orpelli del passato sono
 diritti inalienabili e fondamentali che sanciscono, scandiscono il vivere  civile di una nazione.
Perché solo un cieco non può  veder che vi è un unico disegno, un “Fil rouge” che  sottende
  al tentativo di dissolvere i contratti collettivi di lavoro (in favore dei contratti individuali), lo  statuto dei lavoratori, il diritto di
  sciopero, l’attacco all’articolo 41 della Costituzione, la
 
  legge bavaglio sulle  intercettazioni e sulla libertà d’informazione le ventilate riforme 
sulla giustizia e sul Consiglio Superiore della Magistratura per ledere  l’autonomia del potere giudiziario, la privatizzazione dei servizi (vedi il caso del decreto Ronchi sull’acqua pubblica), 
i tagli alla scuola  ed al welfare.
Legge 300, art1, art3, art18, art 21, art40, art42, art 104, 105, 106, 107.
Per alcuni sono solo numeri, per altri rappresentano il l’ESSENZA STESSA DELLA 
NOSTRA DEMOCRAZIA.
Quando si dice, senza pudore, che  nella Costituzione si parla “parla troppo
 
di lavoro e troppo poco d’impresa”, quando con la modica dell’art 41 si deroga ai fini sociali,
 alla  sicurezza, alla libertà, alla dignità umana per mero profitto, quando si  cerca di forzare
 il mutamento della natura sociale del sindacato, quando il  populismo politico ammorba
 anche la sfera industriale (vedi la proposta confindustriale di  modificare l’art 75 della
 Costituzione  nella parte che vieta il  referendum per le leggi tributarie), allora la deriva 
è allarmante, oserei dire inquietante.
Già nel secolo scorso la  paura e la poca lungimiranza dell’imprenditoria 
italiana, mai davvero
all’altezza delle sfide che si è trovata ad affrontare, ma che da sempre si è posta davanti ai
 problemi con un approccio arcaico, familista  da “capitalismo  straccione” (a parte rari esempi 
virtuosi come Adriano  Olivetti), sposò un sistema politico neocorporativo ed individualista.
E fu il fascismo.
La storia italiana, che  grazie all’apporto della Resistenza,  si riscattò con la nascita
 della Repubblica e la creazione della Costituzione, e  che vide applicate nella pratica molti dei 
suoi precetti grazie anche al movimento operaio ed  alle lotte sociali, che sfociarono nel varo 
dello Statuto dei Lavoratori, rischia oggi di ripiombare, saltando a piè  pari il novecento,
 in un nuovo ottocento post-moderno pullulato da “padroni” e governato da  una politica  regia.
Si cerca di declassare il  cittadino al rango di consumatore, ma, badate bene, solo al di fuori del
 cancello di una fabbrica perché, una volta entrati dentro, si deve consegnare il corpo e l’anima 
ai moderni “monarchi delle ferriere”, senza alcun diritto se non quello di 
chinare il capo, lavorare e tacere. Trasformati in “merce” come quella che si produce. 
Ed a difendere l’unico diritto esigibile, quello d’impresa, già sono pronti i pronipoti
 di Bava  Beccaris.
E l’opposizione politica?
La Sinistra extraparlamentare è parcellizzata, senza peso  politico, esangue, senza voce
 e le sue flebili  proteste non varcano il muro dell’informazione pilotata, mentre quella 
 parlamentare ( ma si può ancora parlare di sinistra??) è imbarazzante, vittima di una subalternità
 
culturale al  modello liberista vigente, e non capisce, non vuol capire, o finge di non capire che la
 Costituzione si difende in tutte le sue parti, non a seconda di geometrie variabili dettate da
 tornaconti politici o per opportunismi più o meno velati.
E l’opinione pubblica?
A parte qualche sussulto c’è  solo un’assordante silenzio, un’attonita paura, un ripiegarsi nel
 proprio privato,  un’apatia a volte figlia dell’indifferenza e dell’ignoranza culturale. Spero che
 questa inazione sia solo sinonimo di spaesamento, di mancanza di un  catalizzatore  che convogli 
questo disagio e non specchio desolante che riflette la pochezza politica dei suoi rappresentanti.
E così mi chiedo da  cittadino, da operaio, da iscritto Fiom, da aderente all’ANPI:
«Ma allora tutte quelle stagioni di lotte per stappare diritti e dignità,  tutto quel mettersi in gioco per il
 bene di sé e degli altri che si salda con  quei morti, con quel sangue, con quel dolore, con quello
 slancio ideale che ha  permeato i giorni e i mesi della Resistenza, a cosa è servito se il risultato è
  questa desolazione!»
Ma lo scoramento dura un’istante. Poi mi soccorrono Marco Revelli,  sociologo del Lavoro e figlio 
di Nuto (partigiano e scrittore) e Luisito Bianchi, già prete operaio, che partendo da due
 esperienze e sensibilità diverse, quella laica e quella religiosa, arrivano comunque ad una
  medesima conclusione, che mi rinfranca un poco e mi rincuora:
Finché ci sarà un uomo, almeno uno, un sindacato, od un parte di esso, che crederà
ancora ad una società più equa e più umana, che manterrà le mani pulite, che sarà testimone, 
custode, per  tempi migliori, di questa visione, di un nuovo mondo possibile, allora quel darsi
 per gli altri non sarà stato un gesto inutile, quel sangue gratuitamente sparso non sarà stato
 sparso invano, perché rimarrà un barlume di speranza e, uso ancora questo aggettivo,
 DI DIGNITA’ a cui aggrapparsi.