L’ANPI Voghera commenta
Abbiamo voluto dedicare questa pagina web alle prese di posizione, ad eventuali polemiche verso fatti ed
episodi accaduti in città o nella nostra provincia.
L’obbiettivo è quello di sollecitare dibattiti, evidenziare avvenimenti e notizie, comunicare la nostra posizione sulla vita
sociale e culturale nazionale ed iriense.
- 31 Gennaio 2017 -
Giorno della Memoria 2017
Pubblichiamo l’intervento di
Antonio Corbeletti,
(presidente Anpi Voghera), durante il presidio (organizzato dalla
sezione iriense dell'
ANPI e dalla
FIVL-RAP Voghera)
del
28 gennaio 2017 a
Voghera in
via Emilia, davanti alla storica targa che ricorda la concessione dei
diritti civili agli
Israeliti,
promulgata a
Voghera da
Carlo Alberto il
28 marzo 1848, in occasione del
Giorno della Memoria 2017
Ci ritroviamo di fronte alla targa che ricorda un momento importante della nostra storia.
Due atti siglati da Carlo Alberto a Voghera il 29 marzo 1848: la dichiarazione di guerra all'Austria, con l'avvio della Ia guerra d'indipendenza
ed il riconoscimento dei diritti civili agli israeliti. Quest'ultimo provvedimento &eghrave; anticipato il mese prima dalle cosidette Lettere patenti che
concedevano diritti civili e politici ai Valdesi. Coincidenza storica vuole che il decreto di emancipazione è firmato lo stesso giorno in cui, nel 1516, era stato istituito in Italia il primo ghetto: quello di Venezia.
Gli eredi di casa Savoia stracceranno questa firma consentendo prima l’affermarsi del fascismo e poi ratificando le infami leggi razziali del 1938.
Come avviene da anni la nostra presenza oggi è legata alla "Giornata della Memoria".
Qui vogliamo ricordare e onorare pubblicamente tutte le vittime della deportazione nazifascista: partigiani ed antifascisti, operai protagonisti degli scioperi del marzo ’44 nei grandi centri del Nord,
cittadini ebrei, soldati (almeno 650.000 gli Internati Militari Italiani), rom e sinti, omosessuali, testimoni di Geova, disabili.
Sono almeno 22, di cui 18 vogheresi, i deportati che iniziano dalla nostra città il loro percorso di prigionia, per molti di loro senza ritorno. Tra questi il giovane Jacopo Dentici, Giovanni Mercurio, Renato Percivalle, Alessandro Tartara morti a Mauthausen, altri meno conosciuti come
Ettore Levi, arrestato a Voghera e ucciso ad Auschwitz (dove scompare anche quasi tutta la sua famiglia) o Luigi Boselli, ufficiale paracadutista che opera clandestinamente per i servizi Alleati e viene fucilato a Dachau.
Passano dal campo di concentramento di Bolzano gestito dalle SS di Verona e luogo di partenza per Ravensbruck, Flossenburg, Dachau, Auschtwitz, Mauthausen.
Bolzano vede oltre 11.000 prigionieri (ma il numero è per difetto) ed è attivo dal luglio ’44, sostituendo il campo di Fossoli nei pressi di Carpi, in provincia di
Modena. Quest’ultimo è un centro di prigionia prima per soldati alleati, poi gestito dai fascisti della RSI – da qui parte Primo Levi con il convoglio per Auschtwitz del 22 febbraio ’44 -, successivamente campo
di polizia e transito gestito dalle SS fino all’agosto, con una progressiva smobilitazione sotto l’avanzare degli Alleati.
Trieste, con la Risiera di San Sabba, oggi monumento nazionale, è invece l’unico campo di sterminio presente nel nostro paese: oltre 5.000 tra partigiani, civili, sloveni, croati, ebrei furono assassinati ed oltre 25.000 transitarono verso gli altri Lager.
Richiamo tutto questo - che penso ai presenti sia noto - perché in occasione del 27 gennaio (la liberazione di Auschwitz ad opera dei soldati dell'Armata rossa) noi italiani, non possiamo
limitarci a elencare e indicare gli orrori dell'universo concentrazionario nazista in Europa, collocandolo molto lontano da noi. Voglio invece richiamare un passaggio di una lettera indirizzata agli studenti da Fabio Norsa, presidente della
Comunità Ebraica di Mantova scomparso nel 2012
«Quando il sole tramonta sul 27 gennaio tutti noi ci sentiamo rassicurati perché i folli sono stati sconfitti e noi – noi i buoni e sani – siamo fondamentalmente differenti, siamo migliori. Sembra paradossale, ma la Giornata della Memoria sta in parte provocando una orribile semplificazione storica grazie alla quale pare emergere che i nazisti tedeschi furono gli unici responsabili dell’orrore. Il resto va assolto con la fine della giornata di commemorazione. Diventa così stupefacente constatare come in nome della Memoria istituzionalizzata ci si dimentichi che senza il resto degli europei i nazisti non avrebbero potuto realizzare il loro progetto di sterminio. Ci furono delatori, spie, collaboratori che in ogni nazione occupata o alleata denunciarono vicini di casa, ex amici, conoscenti. Ci furono organi di polizia che collaborarono nelle retate degli ebrei in ogni nazione, Italia compresa.»
In base alla nostra storia dobbiamo fare i conti con le responsabilità del fascismo italiano
su quanto accaduto. Continuare a ricordare, ad esempio, che il fascismo (oltre ai campi prima citati) allestisce dal
1940 al 1943 una fitta rete di campi di internamento (sotto questa dicitura si presentano le più
svariate strutture: campi veri e propri, depositi militari, ville e case coloniche) rivolti
particolarmente verso migliaia di civili jugoslavi (vittime della feroce repressione delle nostre
truppe di occupazione), stranieri indesiderati, italiani “pericolosi”, rom e sinti, ebrei italiani e di
altre nazionalità. E’ un sistema di campi che interessa ben 11 Regioni oltre alle zone occupate
della Jugoslavia (con il tristemente famoso campo di Arbe/Rab nei pressi di Fiume).
E’ una politica di detenzione e controllo parallela all’istituzione di 262 colonie di confino - le
più note sono le isole Tremiti, Ponza, Lipari, Ustica, Ventotene e molti piccoli centri del Sud -
che vedono oltre 12.000 persone recluse dal 1926 al 1943, di cui 177 perderanno la vita.
Dobbiamo continuare a smontare i luoghi comuni e le sottovalutazioni ancora troppo diffuse
(in rete e non solo) sulla presunta imposizione al regime di Mussolini delle norme razziste
contro gli ebrei da parte della Germania nazista. Non è così.
Il razzismo fascista si esplicita nelle aggressioni coloniali in Africa – avviate dai governi liberali,
peraltro - costellate di violenze e massacri, dalla Libia all’Etiopia e nelle successive normative
che tracciano la disuguaglianza con le popolazioni dell’Africa orientale, introducendo e
alimentando una cultura razzista diffusa nel popolo italiano. La legislazione antiebraica del 1938 ne è lo sviluppo e la puntualizzazione.
Un percorso - supportato e teorizzato da giuristi, accademici, scienziati,… - di esclusione e
discriminazione che si trasforma in persecuzione e sfocia infine nella deportazione e nella
morte.
In quest’ultima fase risalta il ruolo attivo dei fascisti della RSI che dopo l’8 settembre prima nel
manifesto fondativo di Verona e poi nella famigerata circolare di Buffarini Guidi indicano gli
ebrei italiani come “stranieri ed appartenenti a nazionalità nemica”, collaborando con i nazisti o
impegnandosi in prima persona alla caccia all’uomo che porterà alla deportazione di più di
6.800 ebrei italiani (di cui quasi 6.000 morti nei campi e 303 in Italia per cause varie).
La "Giornata della Memoria" richiede anche una riflessione ed un impegno su quello che
accade oggi nel nostro continente, come ha scritto ieri lo storico Enzo Collotti
«Nella crisi attuale dell’Europa il dilagare del populismo maschera a fatica il volto del razzismo che
non è né vecchio né nuovo, è il razzismo di sempre, contro ogni minoranza e contro ogni eguaglianza
tra i popoli. È chiaro che il passare delle generazioni produce cambiamenti nella memoria e nei modi di
esprimerla e di rappresentarla, tanto più oggi che la testimonianza dei sopravvissuti incomincia a
farsi sempre più rara per ovvie ragioni fisiologiche. Troppo spesso la tragedia delle migrazioni viene
dissociata nell’attenzione e nella memoria dei più dalle derive degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso.
Dappertutto in Europa l’irresponsabile diffusione della minaccia di una invasione da parte di chi
fugge da guerra e miseria genera confusione e oblio (…)
Questo significa anche una frattura nella memoria collettiva dell’Europa che indebolisce la
possibilità di una presa di coscienza non parcellizzata, solidale senza riserve.
Il Giorno della Memoria dovrebbe servire a tenere viva la sensibilità di popoli e società verso
problemi che ne hanno plasmato negativamente la storia ma che sono anche terribilmente attuali.
Oggi la minaccia più insidiosa non è rappresentata dal negazionismo né dal neofascismo o dal neonazismo,
ma piuttosto dall’acquiescenza diffusa a comportamenti di insofferenza se non di ostilità nei confronti dell’altro.
Nessuno ha il coraggio di dirsi anti-semita o anti-musulmano, ma nei fatti il prevalere di una sorta di agnosticismo etico ci riporta
al punto in cui tutto è incominciato, alla deresponsabilizzazione e all’indifferenza. È un problema politico e culturale
di enorme portata che si inserisce nella crisi dell’Europa non meno che in quella della nostra democrazia.»
E con questo problema - aggiungo - dobbiamo misurarci senza rimozioni.
Concludo con una annotazione vogherese segnalando, a trent’anni dalla scomparsa di Primo Levi, che fu la piccola casa editrice Da Silva del
vogherese Franco Antonicelli a pubblicare per la prima volta nell’autunno 1947 “Se questo è un uomo”, inserito nella collana
“Biblioteca Leone Ginzburg” (dedicata all’intellettuale antifascista morto per le torture naziste a Roma, nel carcere di Regina Coeli, nel febbraio ’44).
Come noto il titolo scelto da Levi era, in realtà, “I sommersi e i salvati” (che sarà poi la sua riflessione più completa e sofferta, uscita nel 1986) ma
prevalse la proposta, secondo alcuni del collaboratore e partigiano, Renzo Zorzi, accolta subito da Antonicelli e poi da Levi. La scelta di Antonicelli evidenzia, anche in questo, il suo coerente
impegno civile.
Il Centro Studi Primo Levi di Torino, con grande disponibilità ci ha permesso di inserire sul sito dell’Anpi vogherese le pagine che riguardano la prima uscita
di “Se questo è un uomo”, inoltre il link al Centro consente
di visionare l’ampia documentazione presente sulla figura e sulle opere di Levi. Ringrazio ancora i presenti e do appuntamento al prossimo anno, nella consapevolezza che la memoria di quanto accaduto deve continuare a produrre quotidianamente informazione e impegno attivo.