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   L’ANPI Voghera commenta

Abbiamo voluto dedicare questa pagina web alle prese di posizione, ad eventuali polemiche verso fatti ed episodi accaduti in città o nella nostra provincia.
L’obbiettivo è quello di sollecitare dibattiti, evidenziare avvenimenti e notizie, comunicare la nostra posizione sulla vita sociale e culturale nazionale ed iriense.

 

- 20 Settembre 2012 -

Dall’8 settembre ad una nuova rinascita del nostro paese




Di fronte alla crisi morale, economica e sociale che da tempo immemore attanaglia la nostra società e i cui effetti avvertiamo ogni giorno su ognuno di noi, il mio pensiero torna in modo ricorrente, quasi ossessivo, all’8 settembre 1943. Per i più sprovveduti quel giorno fu esplosione di festa: la notizia dell’armistizio, vissuta come la tanto auspicata fine della guerra, fu accolta negli accampamenti militari con colpi di fucile, in paesi e città con balli e canti e sventolii di bandiere. Dall’indomani mattina dinanzi agli occhi di tutti si sciorinò però il vero, crudele, volto della situazione: lo Stato, cioè il re e Badoglio, aveva scelto di abbandonare gli Italiani per rifugiarsi sotto la protezione alleata a Brindisi, il Paese, fatto di donne e uomini oppressi e spezzati dalla guerra, si scopriva improvvisamente privo di guida e in balia degli eventi, e i nazisti, presenti, pronti e armati, ebbero buon gioco a impossessarsi della nostra Nazione condannando la nostra gente a una nuova ondata di fascismo, all’oppressione e alla repressione, ai campi d’internamento e di concentramento, alla barbarie e all’inciviltà. In quel tragico contesto gli Italiani, ognuno per sè e per la propria cerchia sociale, si ritrovarono a decidere il da farsi: molti attesero, alcuni ne approfittarono, altri ancora si lasciarono travolgere e solo pochi intrapresero con fierezza e determinazione un cammino per costruire un nuovo, vero, bene comune. Certo, furono le impellenti necessità a determinare i loro primi vacillanti passi ma mai fu in discussione il fine ultimo: realizzare una società migliore, un mondo di libertà, uguaglianza e giustizia sociale, dove ad ognuno fosse concessa l’opportunità d’emanciparsi dalla propria condizione di miseria.

 

Seguirono mesi difficili, densi di dolori e di amarezze, ma l’intuizione di quei primi difficili passi, seguita dalla conseguente messa in pratica spinta anche alle estreme conseguenze, fu premiata da crescente partecipazione e crescente consenso. Avvenne così che la nostra Nazione, con l’appoggio determinante degli Alleati, si liberò dal nazifascismo e, rimosso quell'enorme macigno, potè dedicarsi a fondo alla costruzione di una nuova società. Seguirono la scelta della Repubblica e l’elaborazione della Costituzione, autentica pietra miliare del cambiamento, imprescindibile spartiacque tra inciviltà del passato e progresso in un futuro di pace e di democrazia. Democrazia, sì: se con la Repubblica da sudditi gli Italiani si erano emancipati a cittadini, cioè autentici fautori della propria esistenza, con l’entrata in vigore della Costituzione si davano anche le modalità per raggiungere, sia individualmente che collettivamente, la propria emancipazione dall’ignoranza e dalla miseria in un clima di progressiva uguaglianza civile.

 

Gli anni che hanno fatto seguito ci hanno però evidenziato quanto questo percorso, nel mezzo delle vicende internazionali, si sia dimostrato irto. L’occultamento delle nostre responsabilità nelle atrocità di guerra, la guerra fredda, la sudditanza, la corruzione, l'omertà, hanno fatto sì che quel percorso, acutamente tracciato di comune accordo da cattolici, liberali, repubblicani, autonomisti, socialisti e comunisti, che avrebbe fatto del nostro Paese una delle più vivaci e intraprendenti nazioni al mondo, sia rimasto al palo e ci abbia mantenuto in una brutale condizione di ipocrisia politica e sociale. Noi non viviamo in una democrazia ma in una vergognosa truffa dove dietro al diritto al voto si cela la perenne manomissione della volontà e dell’interesse collettivo, dove dietro alla tutela delle libertà si verifica l’impossibilità pratica per quasi tutti di partecipare alla vita pubblica, dove dietro alla garanzia di uguaglianza e di giustizia non solo si mantengono ma si acuiscono le disparità sociali tra chi poco o nulla può e chi invece può molto se non tutto. Tutto ciò ad onta della Costituzione, cioè la legge cardine del nostro Stato, quella a cui dovrebbe essere improntato tutto il nostro vivere civile. Tutto ciò ad onta di tutte quelle morti, di tutte quelle rinunce e di tutte quelle sofferenze a cui i padri, le madri, i fratelli, le sorelle e persino i figli della Resistenza hanno dovuto ricorrere per aprire a noi la strada per il futuro. Ad indignare non è perciò solo lo sfregio che qualche imbecille neofascista fa di tanto in tanto a qualche lapide partigiana, non è solo l’ottusa e antistorica celebrazione che qualche ignorante e perversa amministrazione concede a qualche fascista più o meno criminale, ciò che soprattutto indigna e deve indignare è, ad onta dei giuramenti, la pervicace assenza di volontà di tanti nostri governanti di ieri e di oggi a perseguire il disegno saggiamente stabilito dalla Costituzione Repubblicana e che ci relega in uno stato predemocratico in cui non a caso, come sotto il fascismo, regnano qualunquismo, autoritarismo, immoralità, impostura e ingiustizia.

 

Ecco perchè oggi, di fronte all’acuirsi della crisi, sono quantomai necessari una nuova e popolare presa di coscienza e un agire collettivo che, sulla base della nostra Costituzione, possano e sappiano rigenerare il nostro vivere civile. Una presa di coscienza e un agire collettivo che non possono non partire dal lavoro, elemento cardine per sottrarre il cittadino alla povertà restituendogli dignità e autorevolezza sociale e ridando ricchezza complessiva alla Nazione, e che, oggi più che mai, devono collegarsi al concetto di ambiente come bene comune in cui rispetto e tutela, consonanza e solidarietà, devono diventare, sulla base delle peculiarità geomorfologiche di ogni territorio, gli assi di uno sviluppo armonioso e sostenibile, capace di impedire sia l’abbandono che il sovrasfruttamento che, peggio ancora, l’irrimediabile devastazione. Una presa di coscienza e un agire collettivo che devono tramutarsi in una crescita partecipata per la dignità delle Istituzioni nelle quali, a dispetto delle appartenenze politiche, deve tornare a prendere piede e forza il concetto di cittadinanza che, unito alla socialità e alla solidarietà, deve riportarci a scandire i passi per la libertà, per l’uguaglianza e per la giustizia sociale, in una parola per la democrazia, che già allora la nostra Costituzione aveva individuato come antidoto al ritorno nelle secche dell’inciviltà fascista.

 

 

Mauro Sonzini

studioso di Resistenza e Democrazia