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- 02 Novembre 2009 -
Il "Pantano" afgano
L’aggravamento della guerra in Afghanistan, che ha
contagiato ulteriormente la già esplosiva situazione in
terra pachistana, come la morte dei paracadutisti italiani
a Kabul, ha riaperto un dibattito, invero abbastanza
confuso, sul perché il nostro paese si sia trovato
a questo punto invischiato in una guerriglia in quella
lontana regione, e che fare, se restare, andare,
diminuire il contingente o cambiare le regole di ingaggio.
Ritengo però utile perchè il dibattito non sia una sterile
elencazione di petizioni di principio ricordare per
brevissime linee la storia tormentatissima
di questo paese. L’Afghanistan è formato da un territorio
non particolarmente appetibile per un invasore, ma è
situato in una posizione strategica che ha sempre
rappresentato la sua maledizione; nell’ottocento il
territorio è stato conteso da una parte dall’Impero
Russo, che tendeva ad espandersi verso le steppe
dell’Asia centrale, dall’altra dalla Gran Bretagna, che
voleva conquistare un territorio confinante con l’India
e non voleva che nello stesso si insediassero i Russi.
Da questa situazione , nota fra gli storici come il
Grande Gioco , l’Afghanistan ha sofferto guerre,
invasioni , eccidi, fornendo una resistenza fortissima nei
confronti sia dei Russi ma soprattutto degli Inglesi, più
volte pesantemente sconfitti; la situazione del paese era
tale che, pur esistendo un potere centrale, vi era una
classe che potremmo definire di nobiltà locale, con propri
agguerritissimi eserciti che, attraverso tattiche di
guerriglia, hanno portato soprattutto l’esercito inglese ad
un tributo di sangue non indifferente.
Dichiarato indipendente nel 1919, dopo la defenestrazione del Re nel 1973 il paese è stato
oggetto di colpi di stato, fino al 1979 quando , come è notissimo, l’URSS, un po’ seguendo il
vecchio disegno imperialista degli Zar, un po’ per evitare di avere una repubblica islamica ai
confini, ha invaso il paese per supportare un presidente marxista.
È altrettanto noto che i sovietici, dopo una guerra disastrosa, han dovuto ritirarsi, e che gli
americani, secondo una logica assolutamente folle, hanno armato chiunque combattesse contro
i sovietici e così non solo signori della guerra feudali , ma anche e soprattutto estremisti
islamici, i cosiddetti talebani, i quali, una volta vinta la guerra, hanno instaurato, come era
ampiamente prevedibile, un regime di rigoroso rispetto islamico, insopportabile secondo
la logica occidentale.
L’intervento in Afghanistan sia degli USA che della NATO venne giustificato da una parte
perché, nascondendo i talebani i terroristi islamici che colpivano a ripetizione l’occidente,
in questo modo si sarebbe potuto dare un forte colpo al terrorismo: dall’altra perché si riteneva
il regime dei talebani violento, ingiusto se non inumano e quindi la comunità internazionale
non poteva attuare in questa situazione una politica del non intervento.
Se questi sono i fatti, l’attuale situazione è a dir poco sconfortante; gran parte del paese è
devastato dalla guerriglia che coinvolge e colpisce civili e in tutti questi anni il processo di
ricostruzione appare in ritardo.
Quello poi che non si comprende, perché le informazioni sul punto paiono scarse se non
censurate, è quale sia l’atteggiamento della popolazione; da un lato c’è il dato innegabile che
una buona parte della stessa è andata a votare; a prescindere dai brogli di Karzai è comunque
il segno della volontà di liberarsi dalle pastoie del passato. D’altro canto la forza dimostrata
dai talebani prova che una parte altrettanto notevole della popolazione li appoggia, perché è
noto che senza l’appoggio popolare la guerriglia non si sviluppa.
Altrettanto oscuro è come la popolazione si pone nei confronti degli stranieri che sono nel loro
paese: al di là dei luoghi comuni sugli Italiani brava gente, osservatori indipendenti, fra cui per
esempio i medici che lavorano nel paese nelle svariate organizzazioni umanitarie, denunziano
l’atteggiamento coloniale delle truppe occidentali , completamente distaccate dalla popolazione,
sempre con il dito sul grilletto, terrorizzate da eventuali attentati e pronte a far fuoco.
La sensazione che ci si trovi dentro un cul de sac da cui diviene impossibile uscire; uscire ora
dal paese, senza se e senza ma, riconsegnerebbe lo stesso in mano ai talebani, organizzati ed
armati molto meglio dell’esercito regolare, ed il tutto dopo una guerra probabilmente
sanguinosissima: si può anche operare in questo modo, ma poi bisogna assumersene ogni
responsabilità politica se non storica; ricordo come il disinteresse del mondo sul trattamento
degli Ebrei in Germania ha fornito la certezza ai nazisti di poter far loro tutto quello che
volevano senza correre alcun rischio.
Restare senza modificare in nulla il proprio atteggiamento oltre che criminale è inutile; forse il
vero unico modo per dare un futuro a questa situazione limitando al massimo i danni ( che
comunque ci saranno); l’organizzazione di un tavolo a cui dovrebbero partecipare anche i
talebani, per capire come chiudere la vicenda in modo indolore; e senza illudersi che
l’Afghanistan diventi uno stato governato come, per esempio, la Danimarca, perché
così non è e non può essere.
Per ciò che riguarda infine l’impegno italiano, mi pare pacifico che la situazione in Afghanistan
non possa essere paragonata, da un punto di vista storico e politico a quella dell’Iraq,
anche se certe volte le differenze appaiono più sfumate di quanto si possa credere; in fondo
in Afghanistan vi son dei gran deserti di sassi, in Iraq grossi giacimenti di petrolio.
L’impegno italiano appare legato ad una logica diversa rispetto a quella della mera occupazione
militare, logica conseguente al tentativo di evitare che il paese faccia un ulteriore bagno
di sangue. Né certo è da ritenere che la morte di soldati, pur evento triste, debba portare
il paese ad un disimpegno; il nostro esercito non è più di leva, i soldati non sono i figli
di mamma mandati in trincea, ma volontari professionisti armati ed equipaggiati per svolgere
un lavoro ahimé vecchio come il nostro pianeta; lavoro che può portare a danni fisici
ed alla morte.
Onore quindi ai soldati morti, ma occorre ricordare che il cosiddetto mestiere delle armi,
che alcuni considerano nobile, dà gloria ma è pericoloso.
Un’ultima annotazione per il nostro ministro Bossi, che, mostrando un cuore tenero, rileva come
egli si senta turbato per il fatto di aver votato il finanziamento di una missione da cui i nostri
soldati tornano senza più vita; non posso che ammirare il gentile pensiero del leader leghista,
che invece pare tutt’altro che rammaricato di quanto accade agli uomini, alle donne ed
ai bambini oggetto del cosiddetto respingimento: le carceri medievali di Gheddafi
oppure l’acqua del mare.