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   L’ANPI Voghera commenta

Abbiamo voluto dedicare questa pagina web alle prese di posizione, ad eventuali polemiche verso fatti ed episodi accaduti in città o nella nostra provincia.
L’obbiettivo è quello di sollecitare dibattiti, evidenziare avvenimenti e notizie, comunicare la nostra posizione sulla vita sociale e culturale nazionale ed iriense.

 

- 02 Marzo 2012 -

Sasà e via Rasella




La morte di Sasà Bentivegna, medaglia d’oro della Resistenza, ha riproposto il vecchio problema della liceità dell’azione di guerriglia urbana all’interno di una lotta partigiana.

Bentivegna è celeberrimo per i fatti di via Rasella, l’attacco alla colonna di SS da parte dei GAP romani effettuata in modo particolarmente efficace, prima con l’uso dell’esplosivo e poi con l’attacco con armi di leggere alla colonna tedesca; ed è  stranoto che questa azione ha portato a polemiche infinite, che non è il caso qui di riassumere.

L’azione militare in quanto tale fu molto efficace, e penso  che questo sia l’unico dato rilevante di questa vicenda, oltre al coraggio fisico di chi ha partecipato all’azione, che non può che definirsi, in termini sia militari che politici un successo dell’esercito resistenziale italiano: tutto il resto mi pare polemica inutile e fuor di luogo, sorta a causa di un’errata interpretazione della lotta di resistenza all’invasore, ed ad una sorta di cerchiobottismo cattolico, ancor più rilevante perché i fatti sono avvenuti in Roma, città dove la Santa Sede svolgeva una politica ambigua, non scevra di silenzi complici su ciò che i nazifascisti facevano subire alla città ed ai suoi cittadini, e di strani rapporti con l’esercito invasore.

Invero ciò che non viene preso in considerazione, spesso anche dalla storiografia ufficiale, è che il movimento resistenziale è stato presente in tutta l’Europa occupata dai nazisti, e che tale movimento si è sempre connotato come  esercito di liberazione: il partigiano europeo quindi non solo svolgeva attività di propaganda e di supporto nei confronti dei perseguitati dai nazisti e dai collaborazionisti, soprattutto nei confronti degli Ebrei, ma operava attivamente combattendo in armi l’occupante nazista ed i collaborazionisti.

Lotta armata quindi, che talvolta sfociava nella conduzione di vere e proprie battaglie in campo aperto (penso alla resistenza yugoslava piuttosto che a quella sovietica) ma spesso avveniva all’interno dei centri abitati; e che pertanto non poteva che caratterizzarsi con atti di sabotaggio, agguati, attentati.

Se si legge una qualsivoglia storia della Resistenza di un qualsivoglia paese europea, si leggerà di attacchi a locali, ristoranti, cinema frequentati di nazisti, di eliminazione fisica di soldati ed ufficiali, anche di livello elevato, nazisti e di collaborazionisti, di assalti a camion, colonne di soldati, treni; dall’attacco a mano armata, all’uso dell’esplosivo.

L’occupazione nazista dell’Europa è stata caratterizzata senza eccezione alcuna da un regime di bestiale brutalità nei confronti della popolazione civile, una sorta di oscuro medioevo dove le persone ed i beni dei paese occupati con la forza, spesso senza alcuna dichiarazione di guerra, erano alla mercé dell’arbitrio dell’invasore: e di fronte ad una situazione siffatta l’unica risposta che poteva essere data era quella militare, per motivi che paiono assolutamente ovvi.

In un contesto siffatto appaiono francamente ipocrite le critiche e le riserve nei confronti  dell’attacco di via Rasella e dei combattenti che tale attacco hanno portato a buon fine: si tratta di un’azione di guerra militarmente, politicamente, storicamente ed eticamente corretta nei confronti di un esercito nemico che occupava in modo brutale e contro ogni legge di guerra la città di Roma. Certo, dopo ci fu la strage delle Ardeatine; ma tale strage, anch’essa fuori da ogni legge di guerra, va a vergogna dei nazisti e dei collaborazionisti che hanno efficacemente provveduto a fornire le vittime per le iene naziste, e non certo dei partigiani, cioè di quei soldati non in divisa che hanno compiuto il loro dovere.

>Ed infine c’è da registrare l’ennesima sparata di Storace, secondo cui Sasà era solo un assassino: sarebbe patetico lo Storace, ancora legato ai miti ammuffiti del ventennio, se non insultasse la memoria di chi ha combattuto anche per permettere a lui ed agli altri della sua risma di esprimere liberamente le proprie mal digerite opinioni anche sui mass media senza correre il rischio di finire al confino.

 

Umberto Ferari

iscritto alla sezione ANPI di Voghera