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   Le Donne della Resistenza

Determinante, non marginale, ma per un lungo
periodo sottaciuto e ridimensionato.
Questo in estrema sintesi il ruolo delle "Donne
Resistenti"
. Le loro "storie" ci parlano del loro
impegno come "staffette" (con funzioni di
collegamento e di passaggio delle informazioni),
dell’inquadramento nelle formazioni resistenziali
come "Partigiane combattenti", molte furono
responsabili di alto livello.
Per non parlare del loro apporto nella gestione
organizzativa
del Movimento di Liberazione. Le donne
si occupavano della stampa dei materiali di
propaganda
, preparavano documenti falsi e luoghi di
ricovero per i partigiani
, all’occorrenza svolgevano
funzioni infermieristiche, attaccavano i manifesti e
distribuivano i volantini
, trasportavano e raccoglievano
armi, munizioni, esplosivi, indumenti, medicinali viveri.
Ma ricordiamo anche il contributo di quante attuarono
la Resistenza civile femminile, che simbolicamente
prese il via con lo "sciopero del pane" di
Parma (16 ottobre 1941) quando, per la prima volta,
centinaia di donne misero in gioco il loro posto di
lavoro e la stessa libertà personale, manifestando. E partendo dallo "sciopero del pane" si
arriverà ad "incrociare le braccia" sul lavoro, come nel caso del il 1º maggio 1944 ad Imola.
Troviamo la presenza femminile, in numero cospicuo, anche nei SAP (Squadre d’Azione Partigiana)
e nei GAP (Gruppi di Azione Partigiana).
Non possiamo poi non citare i "Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai Combattenti
per la libertà"
(GDD) fondati, nell’Italia occupata, a partire novembre 1943. Sono la prima
grande e unitaria organizzazione femminile
, di matrice politica, ma non partitica. Questi gruppi,
«aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che vogliano
partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione»
,
operano nelle campagne, nelle città, nelle scuole nelle fabbriche, negli uffici, progettando atti di
sabotaggio alla produzione di guerra
(in larga parte destinata alla Germania), supportano
le brigate partigiane, organizzando le interruzioni delle vie di comunicazione e l’occupazione
dei depositi alimentari
. Sono agitatrici nei luoghi di lavoro ( con l’obbiettivo di realizzare
scioperi contro i nazifascisti) e approntano una rete di soccorso e di assistenza per "sbandati",
partigiani e le famiglie dei deportati, dei caduti e dei carcerati
. I GDD, che vengono riconosciuti
ufficialmente dal CLNAI ("Comitato di liberazione dell’Alta Italia"), giungeranno a contare tra le
proprie fila ben 70.000 iscritte.
I valori e i caratteri del mondo femminile, confluirono così nella nostra Resistenza, arricchendola
con le sue specifiche caratteristiche (tra tutte quella caparbia capacità di amore e di
sopportazione della sofferenza), facendola diventare, sia in maniera palese che inconscia, un "banco di prova" nel percorso dei singoli e collettivi desideri di emancipazione.

 La «Resistenza
  taciuta»

Non si deve nascondere che,
per decenni, a livello storiografico ed
istituzionale l’apporto delle donne alla
Resistenza non è stato mai
adeguatamente riconosciuto,
rimanendo relegato ad un ruolo
secondario, che scontava "di fatto"
una visione in cui anche la Lotta di
Liberazione
veniva "declinata" al «maschile». I dati ufficiali della
partecipazione femminile alla
Resistenza hanno scontano inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari,
non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le
donne parteciparono ad essa.
Per questi motivi, possiamo parlare di «Resistenza taciuta».
Secondo le cifre dell’ANPI sono state censite: