Menu:

galleria fotografica

GALLERIA
FOTOGRAFICA


       

 

 

 

 

 

 

 

 




   L’Oltrepo Pavese era adatto alla Resistenza?


di Pierangelo Lombardi

L’Oltrepo pavese era un terreno davvero adatto alla guerriglia e alla Resistenza?
La risposta pareva, allora, tutt’altro che scontata. Il dibattito fu accesissimo per tutti
i primi mesi del ’44 e interessò soprattutto i comunisti.
Per il Pci pavese la definitiva scelta della lotta armata si rivelò in partenza senz’altro difficile.
Se il sabotaggio e il colpo di mano diventarono subito patrimonio comune della lotta politica
dei comunisti, la convinzione che l'atteggiamento ostile ai nazifascisti si dovesse tradurre
in azione militare su vasta scala e in guerriglia organizzata incontrava, al contrario,
non poche opposizioni.
Non ne erano convinti certi anziani che ritenevano non fosse ancora maturo il momento storico
o che consideravano impari la lotta in armi contro i tedeschi.
Perplessi erano anche coloro che, dopo alcune ispezioni, non ritenevano adatta per la guerriglia
la provincia e l’Oltrepo, in particolare.
Pesavano, soprattutto, due argomentazioni.
Il territorio si presentava agli osservatori poco accidentato, con montagne non elevate
e facilmente raggiungibili da più parti.
La Liguria alle spalle non avrebbe consentito, in caso di difficoltà, sicure vie di fuga.
L’altra ragione metteva in conto la presenza di un territorio largamente antropizzato
e coltivato, specie nell’ampia zona collinare, che avrebbe reso problematica la lotta partigiana.
Gli echi di quest’ultima questione riemergeranno nel corso della Resistenza,
tanto tra i Partigiani che, per radicarsi e sopravvivere, dovranno cercare di entrare in sintonia,
se non in simbiosi, con quel mondo contadino, condividendone i valori, quanto tra i fascisti
che, tra una rappresaglia e l’altra, non potranno pensare di sterminare o cacciare in blocco
quella popolazione, nominalmente appartenente, tra l’altro, alla repubblica neofascista. […].

 

 

 

 

Il territorio dell’Oltrepo non è per nulla omogeneo […] e quella che ne vien fuori è davvero
una grande varietà di situazioni locali.
Diversa è, ad esempio, la realtà di Voghera, sede di milizia e di GNR, che pare scossa soltanto
dal duplice bombardamento alleato, o la relativa tranquillità delle piccole parrocchie di pianura,
rispetto a Broni, dove la situazione è ben più drammatica per la presenza, dal settembre 1944,
dei neofascisti della Sicherheits, presenza a sua volta spiegabile con la collocazione
del paese allo sbocco della Valle Scuropasso e strategicamente importante per le frequenti puntate partigiane sulla via Emilia.
La montagna vive buona parte del periodo sotto il controllo partigiano, che comunque non è
in grado di assicurare la relativa quiete della pianura, non foss’altro per le consuete puntate
offensive neofasciste.
In condizioni più precarie, di instabilità e insicurezza, sembra vivere la collina, specie
nella sua parte settentrionale e, sia pure meno drammaticamente, la media Valle Staffora.
I diari dei parroci - ma, ovviamente non solo loro - ci danno anche uno spaccato davvero
significativo dell’adesione della popolazione locale alla Resistenza, suggerendo, nel contempo,
anche una varietà di situazioni e di sfumature e di grande interesse.
Quel che è subito evidente è il quadro generale - confermato e verificato da una molteplicità
di altre fonti - di una adesione diffusa alla Resistenza da parte della popolazione.
E questa adesione è direttamente proporzionale all’azione indiscriminata di repressione
e intimidazione di chi - per dirla con don Agostino Alberti - "con atteggiamenti protervi"
vuol "pacificare i nostri monti col terrore".[…].
Analizzando la risposta ai bandi di leva delle classi '23, '24, '25, '26 in venti comuni significativi
della montagna e della bassa e media collina, si ha la misura sbalorditiva del fallimento
neofascista sul terreno dell’esercito
e, quindi, del consenso al nuovo Stato.
Su 1271 richiamati, soltanto 48 ( neppure il 4% ) aderiscono a Salò; il 27% sono Partigiani;
più della metà vive nascosta presso le famiglie, almeno fino alla tarda estate del 1944,
trovando nei boschi riparo dalle incursioni fasciste.
La percentuale dei"ribelli" cresce in montagna ( 35% ) , mentre gli attendisti risultano essere
più numerosi in alta collina (66%), considerata, dopo il disarmo dei presidi fascisti, zona neutra
e quindi aperta la passaggio di tutti.
Ci sono paesi nei quali la maggioranza dei giovani entra nei partigiani; in altri non si dà
neppure un"ribelle"
; abbastanza diffusa è la collaborazione attiva con i partigiani,
quando lo richiedono le necessità difensive.
Le adesioni dirette e, più ancora, il vasto tessuto di solidarietà e connivenze testimoniano,
dunque, assai più e meglio che non il numero degli armati, della presa popolare esercitata
in zona dalla Resistenza, contro un neofascismo che si propone fin dall’inizio come un fenomeno
elitario e largamente minoritario ( la provincia di Pavia è, tra l’altro, agli ultimi posti
per le adesioni al partito fascista repubblicano con 2400 iscritti, nel settembre 1944, rispetto
ai 7000 di Cremona o agli 8500 di Brescia ).


 

 

 

Tutto ciò non elimina, beninteso, momenti di tensione e di difficoltà tra popolazione
e Partigiani, laddove mentalità, comportamenti e situazioni si scontrano man mano
con i caratteri, le esigenze e il procedere della lotta.
Queste difficoltà sono avvertibili in almeno tre circostanze:
a) nel contrasto, ricomposto solo nel corso della lotta, tra il contadino e/o il montanaro
che si batte sull’uscio di casa, consapevole delle conseguenze che dal suo gesto derivano immediatamente ai paesi e alle famiglie, e il cittadino, operaio o borghese, politicamente
più motivato, spesso oggetto di una secolare diffidenza maturata nei confronti del "forestiero";
b) nelle difficoltà ad accettare la radicalizzazione di uno scontro che spesso non tiene conto
delle tradizioni, delle culture e dei valori largamente cristiani della società contadina
e di una struttura socio-economica articolata, in cui sommari processi alla proprietà rischiavano
di trasformarsi in concrete spoliazioni del proprietario, più o meno agiato;
c) nei momenti, infine, della rappresaglia più dura. In quest’ultimo caso, se è vero che,
generalmente, si accentua l’odio per i fascisti impegnati nei rastrellamenti […] non mancano
evidenti gradazioni di atteggiamenti, gli sbandamenti e i momenti di crisi provocati
dalla paura ( né era altro, a ben vedere, il fine ultimo della violenza brutale scatenata dai tedeschi e dai fascisti contro la popolazione civile ).
Nell’inverno ’44- ’45, in effetti, sembra che il fragile tessuto resistenziale di copertura del
territorio sia destinato a lacerarsi.
Basti, per tutte, l'immagine dell’ispettore partigiano Riccardo che, l’11 dicembre,
deve costringere con la pistola in pugno i contadini riottosi a trasportare sei feriti
evacuati dall’ospedale di Cencerate fino a Capannette di Pej.


 

 

 

Da P. Lombardi, La Resistenza nell'Oltrepò pavese,
in "Storia in Lombardia", n. 2/3, 1998.