Menu:

galleria fotografica

GALLERIA
FOTOGRAFICA


       


   Intervista a Raffaele Morini, il partigiano "Raf"


Non solo ANPI. La Resistenza ha visto
combattere per uno scopo unitario uomini e
donne di diverse estrazioni culturali, sociali,
ideologiche
e politiche. Comunisti, cattolici,
azionisti, liberali, azionisti
. Tra le file cattoliche
militò il partigiano"Raf" (Raffaele Morini),
combattente e agente del Servizio
Informativo
, organizzatore di una delle prime
bande
di "Ribelli" che combatterono i
nazifascisti tra le montagne della cintura
preappenninica del Parmense.
Morini nel dopoguerra lavorò a lungo con
Enrico Mattei, che aveva conosciuto in
clandestinità quando il futuro presidente
dell’Eni guidava i gruppi di partigiani cattolici.
Un legame di amicizia e collaborazione che
Morini non ha mai smesso di onorare: negli
anni Novanta ha portato alla Procura di Pavia
gli elementi che hanno consentito di riaprire le indagini sulla morte del presidente dell’Eni.
Dunque un protagonista quasi dimenticato, come tanti, troppi altri, della storia italiana.
Giovanni Bertelegni lo ha incontrato nei giorni di Settembre 2010 e noi, volentieri, ne
pubblichiamo l’intervista:

 

RAFFAELE MORINI: A QUINDICI ANNI PARTIGIANO E
PRIGIONIERO DI GUERRA

Sannazzaro dei Burgundi: Per conoscere le vicende della lotta di Liberazione al
nazifascismo, ho incontrato un testimone diretto della Resistenza: Raffaele Morini, nome
di battaglia “Raf”. Adesso ha 80 anni e si dedica alla ricerca storica.Ha lavorato all’ENI ed
ha costituito una Società di Tecnologia, ha collaborato a vari giornali come “Il Resto del
Carlino” e ha scritto numerosi saggi sulla Resistenza come: “Avanti siam ribelli”
pubblicato dalla casa editrice Mursia di Milano. Dopo la guerra si iscrive alla DC ed è
rimasto iscritto fino alle vicende di tangentopoli. Nel 1947 aderisce l’Associazione
Partigiani Cristiani fondata da Enrico Mattei, ed attualmente è il presidente della sezione
provinciale “Teresio Olivelli” di Pavia ed è pure presidente nazionale.

 

Per quale motivo, lei così giovane, ha partecipato alla Resistenza?

“Con l’8 settembre 1943 l’Italia aveva perso la Patria e ogni sua autorità. Per la maggior parte
degli uomini, ex militari e non, scappavano da tutte le parti per sfuggire alla cattura da parte dei
tedeschi, mentre i partigiani, allora chiamati ribelli, non scappavano. Per loro era giunta l’ora
di dimostrare al mondo di essere degli uomini: decisi a combattere e a morire da uomini
per vivere da uomini!
Era il 24 di settembre ’43, quando mio fratello Artemio, più anziano di sei anni di me, condusse a
casa nostra due ufficiali inglesi: Johnny Baddelei e Reginald, Selby Chiarlie per dare loro un po’
di cibo e farli dormire nel fienile, poi sarebbero andati in cerca dei partigiani. Il giorno seguente
giunsero altri 9 ex prigionieri inglesi, a digiuno da tre giorni, anch’essi in cerca dei partigiani per
unirsi a loro.
In realtà, piccoli gruppetti di partigiani già esistevano ma non si facevano vedere per timore di
essere spiati e conseguentemente catturati dal nemico.
Così mi recai nel pagliaio a prendere una decina di moschetti md. 41 e alcuni mitra Beretta che
i nostri soldati in fuga avevano gettato lungo la strada e nella piazzetta del mio caseggiato,
dicendo loro che da qual momento i partigiani eravamo noi. In tutto eravamo in 19; 11 ufficiali
inglesi, 6 sbarbatelli italiani, io ed un maggiore dell’11° Regg. Alpini.
Compreso quest’ultimo mi chiamavano “comandante” ma non lo ero. Io mi sentivo di essere solo
come una buona chioccia con tanti pulcini.
Quindi avevamo accantonato le nostre generalità anagrafiche, dandoci ognuno un proprio nome
di battaglia, e col sostegno dei preti e della gente avevamo incominciato a vivere sui monti come
gli uccelli in libertà”.

 

A quali eventi bellici ha partecipato?

“La Val Ceno è stata una zona molto combattuta, anche perché confina col territorio di pianura
allora occupata dal nemico. Basti parlare della battaglia di Pietra Nera che duro tre giorni, di
Varano Melegari, perso e ripreso d’impeto dai Distaccamenti: Pedrazzi e Jessi ( 6-13 gennaio
1945), nonché di Specchio, Bardi e di Monte Pelizzone.
Io però non andavo a combattere, ero troppo giovane. Però il mio gruppo ha fatto parlare di se.
Nella zona non si faceva altro che parlare di spie, di paura dei tedeschi e del fascismo che stava
per risorgere. Così alle 16 del 28 ottobre il mio gruppo decise di uscire allo scoperto. A stento
ero riuscito a convincere i miei amici a sfilare in armi a Varano Marchesi, cantando: «Il Piave
mormorò, non passa lo straniero»
ponendo fine a tutte le paturnie.
Poi alle 11,30 del 3 novembre, 43 militanti della Gnr a bordo di un capiente autocarro, erano
in viaggio per svolgere una dimostrazione di forza a Pellegrino parmense, ma sui tornanti di
Monte Sant’Antonio trovarono il mio gruppo che bloccò l’automezzo, li disarmarono e li
mandarono a casa loro.
Nella ristrutturazione del febbraio 1944 tutti i gruppi autonomi, il mio compreso confluirono nei
battaglioni: Leoni, Forni ed il Barabaschi e nel giugno costituirono la 31º Brig. Garibaldi,
Div. Val Ceno.
Quindi il mio ruolo era quello di informatore militare. Era
molto pericoloso recarsi periodicamente al Comando
provinciale della Rsi per avere informazioni da un
ufficiale che operava per la Resistenza, e al Distretto
militare con una borsa di cuoio vuota, e uscire quando
nostri collaboratori l’avevano riempita di proiettili
cal. 9 lungo, o di bombe a mano.
Alla vigilia del Santo Natale, un cecchino mi attese poco
distante da casa e quando stavo per aprire la porta, mi
sparò un colpo di moschetto, sfiorandomi la testa.
Il 6 gennaio 1945 incominciò il feroce rastrellamento e
nonostante la strenua difesa, ben presto le munizioni
venivano a mancare e il pomeriggio del giorno 7
il Col. Trasibulo comunicò l’ordine di sganciamento, ma
diversi distaccamenti lo trasgredirono. A Varano
Malegari, i Dist. Jessi e Pedrazzi resistettero sino al 14,
in altri posti tanti partigiani li trovarono morti per
congelamento accanto ai loro mitragliatori.
Alle 18 del giorno 6 i nazifascisti occuparono Varano
Marchesi, e il 7 compirono la prima strage: 9 partigiani
e 4 civili. Alle 12, 30 del giorno 8 una trentina di nemici accerchiavano il mio caseggiato e
mi fecero chiamare da un contadino, al quale avevano già catturato i suoi due figli.
«Se non si presenta Raffaele Morini entro 25 minuti bruceremo tutte le case» - dissero.
Allora, per la salvezza dei miei vicini di casa, della mia famiglia, e dei miei amici partigiani che
erano nascosti con me e che rimasero tutti salvi, mi presentai, ma non con le mani in alto!
In galera appresi, dai compagni di sventura, i nominativi dei partigiani torturati e seviziati
prima di essere uccisi. Il mattino del 9 i nazifascisti fecero un’altra strage di 7 partigiani, e
un’altra ancora, di 5 la fecero nel pomeriggio del giorno 12 sulla riva del Gobbo: fra questi ci
furono anche Lupo e Aquilarossa con gli occhi strappati. Aquilarossa però, benché ridotto come
un colabrodo dalle raffiche di mitra che gli avevano staccato le braccia e sfigurato il viso,
il comandante Aquilarossa di anni 17 rimase in piedi in mezzo ai suoi Ribelli come un simbolo
che non muore mai.
Alle ore 11,10 del 15 gennaio,
i tedeschi avevano formato una
colonna di rastrellati, per la maggior
parte civili ed alcuni partigiani, tra i
quali c’ero anch’io, verso la metà di
quella colonna, ormai in partenza per
salire sulla tradotta che da Fornovo
portava a Mauthausen. Pochi secondi
prima di dare il via, un giovane
bersagliere toscano di nome Pucci Ireneo mi corse incontro dicendomi di seguirlo.
Era un ordine! Quel bersagliere dal cuore d’oro, che non avevo mai visto, mi aveva preparato
la fuga. Il Signore aveva ascoltato le preghiere di mia Mamma Erminia e della mia gemellina
Rosetta che pregarono giorno e notte per la mia salvezza e quella di Mio fratello Artemio
partigiano della 78º brigata e mia sorella Celinia nostra staffetta. Mentre mio padre dopo
l’armistizio, era militare della britannica Royal Air Force.
Il 21 gennaio il Capitano Buongiorno mi mando una staffetta di Fontevivo con l’ordine di recarmi
immediatamente al Pizzo di S.Secondo a prendere una quindicina di partigiani in grave pericolo,
tra i quali Katia e Tevere ( mio fratello). Quella volta presi lo Sten e due bombe a mano tipo Sip
e mi recai in bicicletta con 40 cm. di neve e dal mattino presto arrivai sul posto a notte fonda,
riuscendo però a condurre a termine la missione.
All’insaputa del commissario Sasso, il 3 marzo mi recai a Fidenza in bicicletta, arrivato a Coduro
incontrai il maggiore della Wehrmatch Walter Gil, anch’egli in bicicletta. Gli puntai la Broving
intimandogli: «Hendeor soldaten caput!» Dopo averlo disarmato lo condussi (camminando
entrambi a piedi ) come mio prigioniero nel castello di Bardi. Poi fu ridato ai tedeschi per uno
scambio di prigionieri, ed io ero in gran pena, temendo che gli avessero fatto del male.
Fortuna volle che a fine luglio 1965 ci rincontrassimo al Motel Agip di S.Donato Milanese.
Walter era in viaggio per Napoli con la famiglia, ed era stato lui a riconoscermi con tanta gioia,
e dopo un forte abbraccio mi presentò a moglie e figli come il suo salvatore. Confesso che fu
un momento molto bello. Nella lotta contro la tirannide, si avverò una confluenza d’ideali così
nobili, un respiro cosi largo e vitali di umanità, da far dire a Piero Calamandrei, che la Resistenza
ebbe un suo carattere “religioso”, perché la lotta di Liberazione non è stato solo un fenomeno
italiano, ma europeo ed addirittura mondiale.
Definire la lotta di Liberazione “guerra civile” significa restringere i grandi significati della
Resistenza, vuol dire essere fuori dalla storia e chiudere volutamente gli occhi davanti alle
formidabili lezioni del passato. Tanto per essere chiari, i partigiani e tanto meno gli internati nei
campi di concentramento, non facevano rastrellamenti e rappresaglie e non bruciavano le case
dei loro avversari.
Quindi detesto certi storici paranoici e revisionisti a senso unico, i quali sono asserviti al potere
politico, “alla casta”, e così facendo, ne traggono benefici economici per le loro pubblicazioni.”

 

Giancarlo Bertelegni