«La notte di Natale del 1944 "Sandri" mi ordinò di raggiungere i compagni che con "Giovanni" (Berto Vicini) si erano rifugiati in collina per coordinare le future azioni. Dopo una settimana, il 1º Gennaio 1945, anche Montagna mi raggiunse».
A questo punto papà, mostrandomi alcune fotografie ingiallite e sgualcite, chiese alla mamma
di continuare poiché fu lei ad essere testimone di ciò che successe la mattina del 2 Gennaio 1945.
«Alle cinque del mattino io, la nonna e la zia, come tutti gli abitanti di Verretto,
fummo svegliate da ripetute scariche di mitra e da sventagliate di mitragliatrici. Poi forti scoppi di bombe
e colpi di mortaio. La Brigata Nera di Pavia, ai comandi del famigerato Col. Arturo Bianchi, aveva attaccato
la casupola dove si trovavano, ma io non lo sapevo, gli altri quattro compagni di papà
La sparatoria continuò sino alle nove. Verso le dieci le camicie nere, cantando, se ne andarono verso Pavia.
Due verrettesi che tornavano da Lungavilla chiesero loro cosa fosse successo.
I fascisti risposero di averne uccisi quattro, due combattendo e due, feriti, fucilati sul posto.
Nessuno aveva il coraggio di andare a prelevare quei poveri resti. A me ed alla Ada venne il dubbio si potesse trattare di papà o di
qualcuno di Castelletto che conoscevamo, ed alle sei del pomeriggio ci decidemmo ad andare a controllare di chi si trattava.
Lo spettacolo che ci si presentò fu terribile: un corpo fuoriusciva dal tubo di cemento, uno era accanto alla porta della casetta e due,
uno accanto all’altro, giacevano a poca distanza dal secondo tubo di cemento integro.
I quattro corpi erano ricoperti di sangue ed erano irriconoscibili. A tutti mancavano le scarpe.
Nel cominciare a pulirli riconobbi l␁anello al dito di uno dei due cadaveri. Era Ferruccio Luini. Piangendo cominciai a cercare papà. Riconoscemmo il cadavere accanto. Era Pietro Rota,
in quello che "penzolava dal tubo di cemento" Ermanno Gabetta ed in quello vicino alla porta Giovanni Mussini.
Nelle tasche dei pantaloni di Rota trovammo un biglietto in cui vi era scritto "Mamma e Papà due minuti prima di morire scrivo a voi per dirvi
di essere forti, di non piangere e soprattutto di non maledire il mio destino. Pietro".
Mentre in bicicletta portavo la notizia dell’eccidio ai compagni di papà in collina pregavo che lui non fosse
stato catturato e portato al Castello di Cigognola, sede della Sicherheits. Quando lo vidi piansi di gioia»
Mio padre, tenendo tra le mani le fotografie degli altri suoi compagni trucidati dalla Sicherheits (Casarini, Savi, Bernini., Longhi, Civaldi e Barbieri) mi disse:
«Nessun rancore, nessuna sete di vendetta o di rivalsa verso le camicie nere che si salvarono o che
furono condannate al carcere dalla Corte d’Assise Straordinaria di Voghera (6/11/1945 e 5/01/1946)
ne tanto meno nei confronti dei loro famigliari, ma ricordati sempre il sacrificio di questi eroi, che ho avuto l’onore e l’orgoglio
di conoscere, per fare in modo che ci` che è avvenuto non accada più L’uomo non dovrà mai più
ricorrere alle armi per poter far valere i suoi diritti di libertà».
Il 25 Aprile 1945 rappresentò per i miei genitori la rinascita. Si sposarono e cominciarono una nuova vita.
Ora giacciono insieme, uno accanto all’altro, nel cimitero di quel paesino, Verretto, che li vide giovani lottare per rendere libera l’Italia.