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    Le azioni partigiane in città

Diverse azioni vengono compiute dalle forze della Resistenza in città.
Una delle più importanti e clamorose è sicuramente la cattura dell’intero presidio fascista
costituito da militi del battaglione "San Marco", con armi ed equipaggiamento,
di stanza presso la Caserma di cavalleria, avvenuta nell’ottobre 1944.
Questo il racconto di Tino Casali, Presidente onorario dell’ANPI, partigiano
nell’Oltrepo Pavese e, successivamente, Commissario della Divisione garibaldina "A. Gramsci".

 

 

“… Si ritenne di attuarla per rinnovare la fiducia nella nostra forza e nelle
nostre capacità e audacia di combattenti.
Gli uomini furono scelti tra i più decisi e capaci del comando divisione, del reparto cecoslovacco e della brigata "Casotti": l’azione venne studiata in ogni dettaglio, si agì in perfetta intesa con l’organizzazione clandestina di Voghera.
L’obiettivo che ci si poneva era quello di riuscire a penetrare nella più grande caserma di Voghera, presidiata dalle truppe della "San Marco" e comando di tappa dei soldati tedeschi e italiani di passaggio, per prelevarne l’intero presidio con il relativo armamento.

L’azione poteva riuscire solo con la sorpresa assoluta, ed i partigiani si erano coscientemente preparati la possibilità di una via di fuga.
Nello studio dei dettagli si convenne di scegliere la serata di un sabato come la più adatta, in quanto i movimenti erano più frequenti e conseguentemente anche la vigilanza meno rigida.
Si mandano in avanscoperta quattro partigiani vogheresi, conoscitori perfetti dei luoghi,
in divisa di militi della "San Marco", per la raccolta delle ultime necessarie informazioni.
A notte inoltrata, su un autocarro catturato alla Wermacht, partono 12 italiani
e 4 cecoslovacchi.

L’organizzazione è perfetta, vengono superati i posti di blocco
nemici mercé regolari documenti di transito;
i partigiani, perfettamente armati, sono in città,
si uniscono ai quattro che li hanno preceduti, l’azione
ha inizio con l’immobilizzo delle sentinelle e il blocco
del corpo di guardia; alle sentinelle catturate si sostituiscono
i nostri partigiani, si aprono i cancelli, l’autocarro entra
nel cortile, i cecoslovacchi alle mitragliere sono pronti,
se necessario, per l’ultimo combattimento, ed i partigiani,
che hanno studiato a memoria l’ubicazione dei vari locali
della caserma, ai loro compiti; agiscono nel più perfetto
silenzio in piena sincronizzazione di movimenti con una
impeccabile esecuzione dei diversi compiti.

Quelli della "San Marco", ufficiali e soldati, sono presi nel sonno, l’armeria
viene vuotata, l’infermeria anche, gli automezzi della "San Marco" sono catturati,
i motori sono messi sotto pressione, i cancelli si aprono.
Tre ore dopo la loro entrata i 20 dell’Oltrepo lasciano la città, si avviano
verso la loro zona ancora più libera e bella; il bottino è dato da 76 prigionieri,
fra i quali nove ufficiali, da armi pesanti e leggere, tante munizioni come mai si erano
viste, medicinali e medicamenti, uniformi e coperte,
di cui tanto si sentiva il bisogno. Non un colpo era stato sparato.( … )”


Estratti dalla testimonianza di Tino Casali "La guerra partigiana nell’Oltrepo pavese"
nell’ambito delle lezioni tenute nella sala dei Congressi della Provincia di Milano
febbraio – aprile 1965 nel ventennale della Resistenza
( raccolta pubblicata dalle edizioni Labor Milano 1965 )

 

Vanno ricordate anche le due azioni compiute da piccoli nuclei di partigiani nelle carceri
di Voghera ( allora installate presso il ( Castello ) per liberare esponenti antifascisti.

La prima ha luogo il 26 settembre ’44.

Cinque partigiani si presentano davanti al portone del carcere spacciandosi per militi fascisti
che devono consegnare un prigioniero.
Si fanno aprire e dopo avere immobilizzato la guardia, riescono a fare evadere
Pietro Denari ( esponente del CLN locale, che viene trasferito in montagna )
ed altri quattro antifascisti.
Il gruppo partigiano manca l’appuntamento con il medico Giovanni Mercurio, ( trasferito
solo il giorno prima ad un altro carcere e successivamente a Mauthausen
dove morirà il 1° aprile l’45 ) e con Bianca Ceva.
Per le autorità fasciste il colpo subito è gravissimo.
Solo nel mese successivo, il CLN riuscirà ad organizzare la fuga della Ceva
che, fintasi affetta da appendicite acuta viene ricoverata, con la complicità dei medici,
in una clinica privata.
Successivamente, prelevata da alcuni partigiani nella serata del 18 ottobre, sarà
accompagnata fuori città e poi a Varzi, diventata"zona libera" da poco.

La seconda avviene nei primi giorni del novembre 1944.

Siamo a sole due settimane dall’inizio del grande rastrellamento invernale.
Con un’altra azione clamorosa viene catturato, in pieno centro cittadino
l’Ingegnere Emmerich Tropp, di origine austriaca, residente da tempo a Voghera,
legato alle alte sfere naziste.
Tre garibaldini della brigata "Casotti", distaccamento "Cosenz", bloccano la sua auto,
prelevandolo con il suo autista.
La richiesta è arrivata dal comando regionale delle formazioni "Garibaldi",
che vogliono "ostaggi di valore" per attuare azioni di scambio
con partigiani ed esponenti della Resistenza caduti nelle mani dei nazifascisti.
Tropp, infatti, resterà alcuni mesi nelle aree controllate dalla VI Zona operativa,
per essere alla fine scambiato, nel mese di aprile con il sacerdote
don Pierino Cristiani ( ex cappellano militare degli alpini in Piemonte,
nominato parroco di Nivione entrerà nelle file della Resistenza con la banda
di Angelo Ansaldi "Primula Rossa" che confluirà in seguito nella formazione "Capettini",
stendendo un diario sull’intero periodo partigiano ).

 

 

Il 18 novembre 1944 un gruppo partigiano della formazione "Po"
riesce ad asportare il piccolo arsenale conservato nella casermetta
della Guardia di Finanza di Voghera.