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   Quel pezzo di stoffa, un pezzo della nostra storia


Testimonianza del partigiano "Milan" (Aldo Giassi) a Casorate Primo - 30 Giugno 2011 -

L’incontro è fortuito anche se, rifacendosi al "fato" della mitologia greca o al più recente concetto
di destino presente nella cultura protestante, in molti credono che il caso sia solo un’umana invenzione.

È una sera d’estate che porta alcuni compagni/compagne delle sezioni di Voghera e
Zavattarello ad una festa ANPI in quel territorio "borderline" situato tra la provincia
di Pavia e quella milanese. Ci presentano un’anziano partigiano, che già avevamo
scorto ( non foss’altro per un fazzolletto, annodato al collo, inneggiante alle "Brigate
Garibaldi" )
, ex tranviere all’Atm Milano, ancora in gamba e dai modi garbati ma diretti.

"Ciao, io sono Aldo, e voi da dove venite?"

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"Dall’Oltrepo" gli rispondiamo,
indicando con la mano un punto
indistinto a sud di dove ci troviamo.

"Davvero? Ma sapete, io ho
combattuto in Oltrepo!"

Ci guardiamo, sorpresi, a vicenda,
e mentre stiamo ancora realizzando
che abbiamo di fronte un partigiano,
a noi sconosciuto, che ha fatto la
Resistenza nelle nostre valli, Aldo,
da una piccola borsa di tela estrae
un ritaglio di tessuto minato dal
tempo, il cui colore originale è ormai
quasi indistinguibile, e ce lo pone.
È un bracciale, ed a stento, ma
ancora leggibili, si notano una sigla
ed una scritta circolare:
- C.L.N. Corpo Volontari della Libertà -

Fissiamo, in religioso silenzio, quel brandello di panno sbiadito, quasi come una "reliquia sacra".
E non potrebbe essere altrimenti. Quel piccolo ritaglio di stoffa è un pezzo prezioso che ci
proietta, con un salto temporale subitaneo, ad un periodo determinate della nostra storia.
Ed allora ci sediamo intorno ad Aldo e lasciamo che ci racconti e si racconti, ancora una
volta (e chissà quante volte è accaduto…) la sua esperienza, quella di un giovanissimo ragazzo
che ha combattuto per la libertà in Oltrepo, la storia di Aldo Giassi, la storia del
partigiano "Milan":

"Io sono del ‘25 e già a 13 anni lavoravo. Nel ‘43 sono cominciati i primi scioperi,
«gli scioperi del marzo» per boicottare i nazisti nella produzione di armi e contro lo
stato di miseria di tutta la popolazione. Io allora lavoravo alla Caproni Aeroplani a
Taliedo.
- (ndr: quartiere periferico di Milano) - Sapete, subito dopo il primo sciopero mi
hanno deferito al Tribunale di Guerra e poi portato al Carcere di San Vittore di Milano.
Sono rimasto sei mesi a San Vittore. Una volta scarcerato, non mi hanno fatto tornare
a casa. Mi hanno obbligato ad arruolarmi nella RSI, quella di Salò, inquadrato nella
Flak, all’interno dell’artiglieria contraerea".
E con minuzia di dettagli Aldo ci spiega che la
divisa era color cachi mentre le calzature ed il cappello erano quelli in dotazione
all’aviazione repubblichina. Condotto ad Arezzo, al momento opportuno diserta, scappando
clicca qui per ingrandire l’immagine per le campagne ed arriva, a piedi, vicino a
Montefiorino. Ci sono però spie e delatori
e quel giovane ragazzo da troppo nell’occhio.
Ed allora Aldo segue alcuni giovani, che
aveva conosciuto, i quali ritornano nei loro
luoghi d’origine: Le colline dell’Oltrepo.

"Mi unisco, con il nome di battaglia
«Milan» alla Brigata Capettini
3° Divisione Aliotta Distaccamento Arturo
Albertazzi Brigata Garibaldi, ed inizio la
lotta partigiana nei vostri luoghi. Vengo
scelto per prender parte a varie missioni
che hanno gli obbiettivi più disparati.
Facciamo saltare viadotti, ponti, nodi
ferroviari, ma mai
- e questo «Milan» lo ribadisce con forza - distruggevano o bruciavamo
le case come facevano…quelli là"
( ndr: fascisti e nazisti)

Incominciamo ad incalzarlo di domande - D: "Ma quali sono i paesi dove agivi?" - R: "erano
tanti sapete, ora però non ne ricordo i nomi"
- D: "hai conosciuto l’Americano?"
( ndr: Domenico Mezzadra ) - R: "durante la Resistenza solo di sfuggita, ma poi in modo
più diretto e meno superficiale dopo la Liberazione"
e via di questo passo, poi Aldo continua
la sua storia:

"Il 18 settembre 1944 durante la presa di Varzi vengo ferito - e mentre ne parla si
accarezza il dorso della mano dove tuttora le schegge sono presenti sottopelle - e mi
portano, per medicarmi, su a Casanova Staffora dove c’erano i dottori della Brigata."

«Milan» si ferma un attimo poi riprende:

"In un rastrellamento mi catturano. Sono stati i «Mongoli». - ( ndr: La Divisione
"Turkestan
) - Erano terribili. Distruggevano tutto e violentavano le donne. Io sono stato
fortunato. Quando mi hanno arrestato, forse a Pizzocorno, ma non sono sicuro, mentre
cercavo di ripiegare, ero disarmato. Se mi avessero trovato con le armi in pugno mi
avrebbero quasi sicuramente fucilato sul posto. Vengo portato prima a Voghera, poi a
Pavia ed infine nel sesto raggio del carcere di San Vittore, quello dei politici".

Aldo non lesina neanche un tocco gossip alla sua storia. Durante l’ora d’aria conosce, tra i
detenuti, un certo Michael Bongiorno, che diventerà il Mike simbolo della televisione italiana.

"Dopo due mesi mi caricano sopra un camion e vengo deportato, con altri prigionieri, nel
campo di lavoro di Innsbruck, in Austria."

Quì il racconto di «Milan» si interrompe, ma sappiamo, da un foglio in A4 che ci dona, la fine
della sua vicenda. Lavora nelle campagne della zona, mentre è controllato a vista dai soldati
tedeschi. Nel campo le condizioni di vita sono dure, durissime.

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Ogni mattina c’era la conta, nel
cortile,
- leggiamo dalla sua
testimonianza scritta - con l’acqua,
con la neve o il freddo venivamo
portati nel cortile per la conta e
ad ognuno veniva assegnato un
lavoro. Erano i contadini che ci
davano da mangiare, qualcuno ci
dava qualcosa di più e qualcuno
meno. Spesso era solo una ciotola
di minestra con bucce di patate.
Alla fine del lavoro tornavamo nel
campo e lì c’era la solita sbobba.
Bisognava cercare di avere le forze
per sopravvivere perché se ti ammalavi c’era la morte. Non si potevano nemmeno
scrivere lettere, quindi la mia famiglia non sapeva nulla di come stavo. Comunque quello
era un campo di smistamento quindi era meno crudele dei definitivi."

Aldo, grazie all’aiuto di due guardie, riesce a scappare insieme ad altri 3 compagni (2 donne
ed un uomo). Dopo varie peripezie arriva a Brescia e poi a Milano, dove rimane nascosto fino al
contatto della 117° Brigata per il Giorno della Liberazione. Fa poi parte della Guardia
Partigiana
di Via Benedetto Marcello, si arruola in Polizia, facendo servizio al Campo di Volo
di Bresso. Cacciato dalla Polizia perché comunista, Aldo, dopo una serie di lavori, viene
assunto, nel 1952, in Atm.

 

"Ora partecipo a tutte le manifestazioni che hanno come fine la difesa di quegli ideali
ed i valori per cui ho combattuto e per «mantenere viva la memoria storica» di fatti
come la strage di Piazza Fontana, Piazza della Loggia."

La nostra lunga chiaccherata è quasi all’epilogo.

"Sai Aldo che hanno messo a Voghera, davanti al castello che era il carcere fascista, una
targa che commemora dei repubblichini?"
lo informiamo.

"E voi che cosa avete fatto? Un comitato dove tante realtà diverse si sono unite contro
questo scempio? Bene, molto bene. Ma poi? È ancora là quella targa? Se potessi, se
avvessi la forza, verrei io a buttarla giù!!!!"
si accalora «Milan» e poi ci chiede:

"Ditemi come è oggi l’Oltrepo, chi governa: la destra o la sinistra. E i giovani che fanno,
cosa fanno i giovani lì da voi? Mi piacerebbe rivedere quei luoghi. Appena finita la guerra
ci sono ritornato una volta, poi le vicende della vita…"

"Vieni, vieni Aldo, ti portiamo a Zavattarello e poi Varzi e poi…"

"Chissa, forse… Beh, allora Ciao"

"Ciao Aldo"

Poi sono strette di mano ed abbracci, e con ancora negli occhi quel pezzetto di stoffa sbiadita,
e nel cuore le parole di Aldo, ritorniamo tra le nostre colline, che in un tempo ormai lontano,
tragico e bellissimo, furono anche le sue colline, le colline del partigiano «Milan».



** le fotografie di Aldo Giassi e del documento del campo di lavoro provengono dal
sito web della BIBLIOTECA VIVENTE Crescenzago di Milano