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   L’ANPI Voghera commenta

Abbiamo voluto dedicare questa pagina web alle prese di posizione, ad eventuali polemiche verso fatti ed episodi accaduti in città o nella nostra provincia.
L’obbiettivo è quello di sollecitare dibattiti, evidenziare avvenimenti e notizie, comunicare la nostra posizione sulla vita sociale e culturale nazionale ed iriense.

 

- 23 Gennaio 2011 -

27/01/2011: Ricordi e testimonianze




Per ricordare, per non dimenticare le vicende tragiche
ed inenarrabili della seconda guerra mondiale, che
culminò nella tragica follia dell’Olocausto, bisogna parlare
con i protagonisti, i testimoni, adesso, per via dello
scorrere del tempo, sempre meno numerosi.

Ho incontrato Saccardi Oreste ottantotto anni, portati
benissimo nella sua antica cascina a Gaminara, piccolo
paese del comune di Rocca Susella. Il prossimo
27 gennaio nel corso della cerimonia in occasione della
“Giornata della Memoria”, che si terrà al collegio
Ghislieri di Pavia, riceverà la ”Medaglia d’Onore”
in bronzo e coniata dalla zecca dello Stato. Tutto questo
come risarcimento morale per la prigionia subita
nei Lager nazisti.
Durante la manifestazione verranno pure consegnate alla
memoria, le medesime medaglie anche ai familiari dei
deceduti. Tra questi due suoi amici come Bertelegni Elio
nato a Gaminara di Rocca Susella nel 1924. Arruolato il
18 agosto del 1943 come soldato semplice nel
4° Reggimento Artiglieria Alpina di Alba.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre del 1943 e
deportato in Germania nel Lager di Bochum. Le terribili
sofferenze della prigionia lo condussero alla morte il
22 dicembre del 1943 e fu sepolto nel cimitero del campo
di concentramento
. Mediante la segnalazione alla
famiglia di Dabusti Angelo, suo compagno di prigionia, la
salma venne rimpatriata e sepolta nel 1950 nel cimitero
di Rocca Susella.
Bertelegni Elio aveva un fratello di nome Mario,
classe 1922, arruolato nella divisione alpina Cuneense e
spedito sul fronte russo. Dall’8 gennaio del 1943 venne dichiarato disperso. La famiglia
Bertelegni Giuseppe perse i suoi due unici figli in guerra.

Infine Dabusti Angelo nato nel 1924 a Cassinone di Borgo Priolo. Il 18 agosto del 1943 venne
richiamato alle armi come soldato semplice presso il 4° Reggimento di artiglieria alpina di
Alba. I nazisti lo arrestarono il 9 settembre del 1943 deportandolo in Germania a Bochum.
Malgrado le pessime condizioni di prigionia, sopravvisse e fu liberato agli inizi di aprile del 1945
dagli alleati. E‘ morto nel 2008.

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Oreste Saccardi ricorda: Nel lager nazista a Graz vidi la fucilazione
di due prigionieri

È con una certa emozione che Oreste Saccardi mi ha raccontato gli episodi più significativi
che l’hanno visto protagonista:

«Dopo gli studi elementari con mio fratello Erminio, continuai il lavoro dei miei genitori
nella coltivazione dei campi e soprattutto delle vigne, attività che proseguo ancor oggi,
con la stessa passione di una volta, anche se sono anziano.
La sera del 10 giugno del 1940 seppi dalla radio, una delle poche in paese, che Mussolini
aveva dichiarato la guerra alle potenze occidentali. Come tutti pensai che la guerra
durasse poco tempo, invece le cose andarono diversamente ed anch’io, mio malgrado, fui
protagonista delle vicende belliche.

Il 23 gennaio del 1942, mi spedirono la cartolina-precetto e dovetti partire per il servizio
militare. Il giorno della partenza per la naia, fu un momento molto triste per me e per la
mia famiglia, infatti mia madre, Giuseppina Bergognoni, pianse a lungo.
Mi presentai al distretto militare di Tortona per l’addestramento e mi arruolarono nel
38° Reggimento di Sussistenza con il grado di soldato semplice. All’inizio venni mandato
nella vicina Alessandria poi il 2 dicembre del 1942 sul fronte francese, precisamente
in una località nelle vicinanze di Nizza. Il mio reggimento fu inquadrato nella IV armata
comandata dal gen. Mario Vercellino.

L’annuncio dell’armistizio per noi fu una sorpresa e tanti furono catturati dai tedeschi
senza combattere. Fortunatamente io ed altri miei commilitoni riuscimmo a fuggire.
Grazie all’aiuto di tanta brava gente, che mi regalò gli abiti civili e qualche pasto caldo,
arrivai a casa mia la notte del 15 settembre del 1943. Quando aprii la porta, mia madre,
per la gioia, si mise a piangere. Per tutto l’autunno del 1943 e l’inverno del 1944 mi
nascosi nei fienili vicini a casa mia. Mentre durante l’estate del 1944 trovai rifugio nei
boschi e soprattutto in una vigna di mia proprietà denominata “Campgrand”, dove
costruii un piccolo rifugio per la notte.

Purtroppo la mattina del 29 dicembre del 1944, i tedeschi circondarono Gaminara ed
alcuni d loro si nascosero dietro l’oratorio di san Cipriano, vicino alla mia cascina.
Quando mi videro, mi puntarono il fucile addosso, per me furono attimi di paura.
Mi condussero in casa mia e sempre armati, mi ordinarono di cambiarmi.
I militari tedeschi furono indifferenti alle suppliche dei miei genitori , mi arrestarono e
mi condussero con altri giovani del paese come Casaschi Ruggero, a piedi fino a Retorbido.
Il giorno dopo con un camion militare mi portarono a Voghera e poi nella sede della
famigerata Sicherheits cioè all’Albergo Savoia di Broni.

In una stanza era presente un grosso tavolo di legno ed un milite repubblichino fece
coricare i prigionieri e iniziò con ferocia a picchiarli, uno per uno con un’asse sulla
schiena. Quando però giunse il mio turno l’asse, tutta sporca di sangue, si ruppe ed io fui
risparmiato. Fra i torturatori erano presenti anche giovanissimi militari, che erano anche
più crudeli degli altri.
Rischiai di morire, con gli altri detenuti, quando entrò nello stanzone un militare tedesco
ubriaco con due bombe a mano minacciando di tirarcele addosso. Prontamente
intervenne uno di noi, il prof. Ambrogio Casati, il quale gli parlò in tedesco e cosi riuscii
a calmarlo.

Il giorno dopo fui trasferito nelle carceri di san Vittore a Milano e verso la metà di febbraio
mi spedirono in un campo di prigionia vicino alla città di Graz in Austria.
Il lager era circondato da un fitto filo spinato con la corrente elettrica e con la presenza di
numerose torrette con le guardie ben armate. Alloggiai in fredde baracche e dormii nei
letti a castello. Le condizioni igienico-sanitarie furono disastrose, fui infestato dai pidocchi.
Il vitto fu sempre molto scarso e consistette in una brodaglia di rape accompagnata da
pochissimo pane nero. Lavorai anche per 12 ore al giorno al freddo e al gelo.
Diverse volte uscii dal campo di prigionia e, guardato a vista dalle guardie con i fucili
spianati, andai a riparare le strade di Graz, duramente bombardate dagli aerei alleati.
Coloro che tentavano di fuggire vennero quasi sempre uccisi.

Con altri internati dovetti assistere alla fucilazione di due militari. I loro cadaveri rimasero
esposti sulla neve per alcuni giorni. Verso la fine di aprile del 1945 l’incubò finì.
Le guardie tedesche ed i “Kapò” fuggirono, per evitare di essere catturati dagli alleati,
e noi praticamente ci liberammo da soli.
Dopo un lungo tragitto a piedi ed in treno verso la metà di maggio del 1945 raggiunsi il
mio paese e riabbracciai i miei familiari. Fu uno dei giorni più felici della mia vita perchè,
nonostante quella terribile odissea, ero riuscito a portare casa la pelle».

Giancarlo Bertelegni