Come
per il resto d’Italia, i primi arresti seguiti da deportazione
avvengono nella
Provincia di Pavia dopo l’8 settembre 1943, quando
l’Italia continentale sino a Roma
diviene zona di occupazione tedesca e
su di essa gli uomini del Reich estendono i sistemi terroristici
di
dominio già ampiamente sperimentati nei paesi occupati.
Veniva intanto faticosamente ricostituendosi, dopo la liberazione di
il 12 settembre,
un governo nazionale fascista che dava luogo
alla
non altro, in realtà, che
un paravento dietro cui i tedeschi continuarono a spadroneggiare
sui
territori occupati e a sfruttarli ( anche con la deportazione ) per i
loro fini bellici. […].
Dei 73 deportati dal nostro territorio, 12 nacquero a Pavia, 8 nel Pavese, 7 in Lomellina,
21
in Oltrepo, 25 fuori della nostra provincia; di essi
24
furono catturati a Pavia, 2 nel Pavese, 15 in Lomellina, 20 in
Oltrepo,11 a Milano,
1 in Piemonte:
considerando
l’età, 19 erano nati sino al 1900 compreso, 13 dal 1901 al
1910 ( di questi
10 entro il 1905 ), 17 tra il 1911 e il 1920, 23 tra
il 1921 e il 1928 ( data di nascita
del più giovane di essi ).
Per quanto riguarda le professioni, 19 erano operai o muratori, 16 contadini, 15 artigiani
o commercianti, 18 professionisti, impiegati,
studenti universitari
o liceali ( gli studenti erano 5 ), 2 militari di
professione,1 pensionato ( Egisto Cagnoni ),
2 casalinghe.
I dati relativi ai luoghi di cattura sono spiegabili facendo
riferimento a quella che è
la Resistenza nella nostra
provincia, politica, morale, operaia nel capoluogo e direttamente
collegata con Milano, partigiana nella zona collinare e montana, mentre
gli arresti
e le deportazioni in Lomellina colpiscono soprattutto chi
fa opera
di collegamento con i partigiani, chi nasconde e aiuta gli ex
prigionieri alleati
fuggiti dai campi di concentramento.
Dalle fabbriche
di Cilavegna proviene inoltre il gruppo degli
coinvolti
negli scioperi della primavera del’44.
Particolarmente
interessanti i dati relativi all’età dei deportati: ben 29
di essi sono nati
prima del 1905 e molti hanno un passato antifascista
più o meno militante:
così Alberti, Bargiggia,
Brusaioli, Brusoni, Bertoni, Cagnoni, Della Valle, Gatti, Giorgi,
Negri, Panizzardi, Mario Pettenghi, Guglielmo Scapolia, Terenzi,
Vercesi, lo stesso Gragnani:
alcuni di essi hanno subito il confino,
sono stati sorvegliati speciali e assumono nella
Resistenza posti di
responsabilità e comando.
Vi è poi il gruppo dei
giovanissimi, quelli che nel’'43 hanno più o meno vent’anni;
molti di loro sono renitenti alla leva e questa è la molla
iniziale che li spinge verso
la montagna; ma tra essi vi sono anche un
Pettenghi, un Dentici, un Loew, un Magenes.
la scelta politica dei
quali nasce all’interno di famiglie antifascista, il cui insegnamento
ed esempio ( e questo vale anche per Antonio Scapolla, più
anziano ma anche lui "educato"
dal regime ) sono stati più
forti della propaganda e dell’indottrinamento fascisti.
Del gruppo
intermedio, meno foltamente presente, bisognerà
però dire che aveva già dato
il suo, pesante,
contributo.
Tanti dei suoi rappresentanti sono caduti sui fronti di
guerra o si trovano nei campi
di prigionia"alleati", o, peggio,
tedeschi.
Per quanto riguarda la collocazione professionale balza all’occhio,
tenendo conto della
configurazione economico-sociale della nostra
provincia, il numero relativamente alto di
professionisti, impiegati,
studenti: la deportazione, in sintesi, seleziona qualitativamente le
sue vittime, colpisce persone in età matura, spesso
professionalmente, e politicamente
qualificate, colpisce in modo
proporzionalmente più rilevante i quadri urbani della lotta.
Questa impressione è avvalorata dal fatto che la Resistenza
nella nostra provincia fu invece,
nel suo insieme, fenomeno
prevalentemente giovanile e fece maggior numero di proseliti
tra
contadini e operai.
La quasi totalità dei deportati è arrestata nel
1944, che si apre con il colpo durissimo inferto
al CLN di Pavia.
Sino
a quella data, nella nostra provincia c’è un solo arresto
tra i 73 accertati
( significativamente quello di Edoardo Giorgi,
militante comunista che ha subito il confino ),
mentre altri due arresti
di persone legate al movimento resistenziale pavese avvengono a
( Tavazzani e Tartara ).
Nel 1944 gli arresti hanno il seguente ritmo:
gennaio: 6 arresti; febbraio: 2 arresti;
marzo: 7 arresti ( di cui 2 a
Milano ); aprile: 1 arresto; maggio: 4 arresti;
primavera ( periodo non meglio
specificato ): 1 arresto; giugno: nessun arresto;
luglio: 9 arresti;
agosto: 4 arresti; ( di cui 1 a Milano ); estate ( periodo non meglio specificato):
1 arresto( a Milano ); settembre: 8 arresti; ottobre: 2 arresti ( di cui
1 a Milano );
novembre: 9 arresti ( di cui 3 a Milano e 1 in Piemonte );
dicembre: 16 arresti.
[…] si può sottolineare come, a parte l’episodio
del CLN in gennaio e l’arresto degli operai
di Cilavegna nel marzo, la
repressione aumenti dall’estate, quando l’intensificarsi della lotta
partigiana e il sostanziale appoggio delle popolazioni civili hanno
ormai fatto deporre ai
repubblichini la politica "del bastone e della
carota" e la stessa attività del partito fascista
sembra
identificarsi con la lotta antipartigiana.
Nel luglio viene colpita la
rete di collegamenti e di sostegno alla lotta armata
e partigiana in
Lomellina ( Locatelli, Panigadi, Loew, Botto, Guadagnini )
e
nell’Oltrepo ( Panizzardi e Mercurio); in settembre
è la volta dell’organizzazione clandestina
del capoluogo,
faticosamente ricostituita dopo l’arresto del CLN; con novembre,
e
dicembre, oltre ad essere ancora colpiti i quadri urbani della
Resistenza,
iniziano i grandi
rastrellamenti in montagna e i 16
deportati di dicembre ne sono una conseguenza.
Alla repressione e agli arresti collaborano fascisti e tedeschi: corpi
di polizia e militari germanici,
SS, GNR, cui spettavano i compiti di
polizia investigativa politica e che era strettamente
controllata dalla
polizia tedesca; Brigate Nere, attive dal luglio-agosto 1 944, operano
in tutta la provincia; in Oltrepo si distinguerà
inoltre la "Sicherheits Abteilung",
corpo di italiani addestrato e al
servizio dei tedeschi nella lotta antipartigiana.
In molti casi ( 33 su
73 ) emerge il fenomeno della delazione, della"spiata":
che esistesse
una rete di spionaggio organizzata è evidente ( e gli arresti
pavesi del gennaio
e poi del settembre ne sono un esempio ); quello che
ci si chiede, soprattutto nel caso di arresti
isolati o di persone
coinvolte anche solo marginalmente nell’attività
clandestina,
è quanto fosse diffuso il caso della delazione
spontanea, magari per opportunismo,
o vendetta personale o
pettegolezzo, più che per un preciso scopo politico.
Si deve concludere comunque che incomparabilmente più alto,
specialmente
in zona partigiana, sarebbe stato il numero delle vittime
della repressione
senza il pressoché totale appoggio della
popolazione.
Una volta subito l’arresto, su delazione o durante un rastrellamento,
da parte dei fascisti
o dei tedeschi, la sorte per coloro che subiranno
la deportazione diviene simile, quasi un rituale:
dalle carceri pavesi
o vogheresi o varzesi, a seconda del luogo di cattura,
passano a San
Vittore, prima tappa del viaggio che li porterà nei campi di
sterminio.
E a San Vittore, che è sotto il comando tedesco,
essi spesso subiscono nuovi interrogatori
e maltrattamenti, per essere
poi destinati ai campi di smistamento di Fossoli
e, dal luglio-agosto
1944, di Bolzano .
Alcuni di loro hanno già conosciuto a
Pavia le torture di "Villa Triste":
così Guglielmo Scapolla,
Terenzi e Facioli, Bargiggia, Brusoni,
Gragnani e la moglie Luisa
Canera.
Passano per Fossoli Giovanni Tavazzani, Egisto Cagnoni,
Giovanni Maccaferri,
Pietro Omodeo Zorini, Galileo Vercesi, Teresio
Olivelli che sfugge, nascondendosi
nelle fogne, alla strage compiuta
per rappresaglia il 12 luglio
dai tedeschi e in cui cadrà
invece Galileo Vercesi.
La maggior parte dei deportati pavesi
è però raccolta, come è logico - visto
l’andamento degli
arresti - dal campo di Bolzano che, facendo parte
dell’Alpenvorland, di fatto
annessa al Reich, è sotto la
completa amministrazione tedesca.
Bolzano, scelta per la sua posizione
geografica sulla strada del Brennero, maggiormente
protetta, rispetto a
Fossoli, dai bombardamenti alleati e dagli attacchi partigiani,
si
configurò come un vero campo di concentramento, anche se non
si raggiunsero
certo le condizioni di vita e gli orrori dei lager
d’Oltralpe.
Davide Della Valle, arrivatovi tra l’ottobre e il novembre,
e Virginia e Vittoria Pievatolo,
giunte il mese successivo, non
saliranno su nessuno dei convogli che sino al 10 febbraio
partiranno da
Bolzano ( dopo tale data le partenze, tranne che per piccoli gruppi,
si
interruppero a causa dei bombardamenti alleati sulla linea del
Brennero ) e verranno liberati
tra il 28 e il 30 aprile del ’45.
Solo
per pochi pavesi vi è una variazione nella tragica odissea: Edoardo Giorgi
( probabilmente anche Alessandro Tartara ) è
condotto direttamente da San Vittore
a Mauthausen; Camilla Campana,
Luigina Cirini e Clotilde Giannini, invece, operaie
di Cilavegna, da
San Vittore andranno a Bergamo e di lì a Mauthausen,
poi ad
Auschwitz, dove, più tardi le loro sorti si divideranno.
Da Bolzano il 7 ottobre del ’44 partiranno in molti: la famiglia
Pettenghi,
Ernesto Gragnani e la moglie Luisa Canera, Anna Botto,
Oreste Panizzardi,
Guglielmo Scapolla, Carlo Dabusti, Francesco Mazza,
Lorenzo Alberti, Pietro Gatti,
Carlo Bertoni, Alberto Perduca, Teo
Lambri.
Le donne sono destinate a Ravensbrück, mentre gli
uomini arrivano il 9 ottobre a Dachau.
I campi di concentramento che accolsero i deportati pavesi furono:
Mauthausen, con 32 internati; Dachau con 13; Flossenbürg con
12; Ravensbrück con 3;
Buchenwald con 7; Auschwitz con 2;
Belsen con 2; Gross Rosen con 1;
Bolzano con 3; Fossoli con 2.
Giunti al campo principale, dopo un periodo di quarantena
più o meno lungo
( e se lo si superava ) i deportati erano
destinati di solito a uno dei tanti campi-satellite
che da esso
dipendevano.
Da Mauthausen dipendevano, ad esempio, almeno 44 campi,
tutti funzionali alle finalità
che il sistema
concentrazionario aveva assunto con lo scoppio della guerra e il suo
procedere: da centri di raccolta, isolamento e annientamento di ogni
oppositore politico,
sociale, razziale al Reich a un’immensa macchina
economica e industriale al servizio Reich,
dove ogni prigioniero
era sistematicamente sfruttato sino all’estremo delle sue energie
e
dove la grande disponibilità di manodopera faceva
sì che venisse considerato "redditizio "
un deportato che
sopravviveva in media 9 mesi, considerando in 1451 marchi il guadagno
ricavabile dal lavoro di ciascuno, cui andavano ad aggiungersi 200
marchi che si sarebbero
ottenuti "dall'utilizzazione razionale del
cadavere". […].
A Gusen I e II, sottocampi di Mauthausen dove, come negli altri
sottoelencati, si trovano
i pavesi, i deportati lavorano nelle cave di
pietra, scavano gallerie in cui si impiantano,
per ripararle dai
bombardamenti, le industrie belliche Stayer-Daimler e Messerschmitt
che
si avvalgono, naturalmente, del lavoro degli internati; anche ad
Ebensee vi sono fabbriche
sotterranee per la produzione di armi,
missili, cuscinetti a sfera; a Melk i deportati
sono occupati, oltre
che nella produzione industriale, nella costruzione di un centro
residenziale;
nei tre sottocampi di Linz i deportati costruiscono
strade, lavorano alla produzione di acciaio,
al recupero di scorie,
sono impiegati nelle armerie Goering; anche ad Hersbruck,
sottocampo di
Flossenbürg, si lavora in miniera e in officine sotterranee,
mentre a Leitmeritz
si scava nelle miniere di ferro; a
Magdebürg, dipendente da Buchenwald, i detenuti sono
impiegati
negli zuccherifici, nelle officine nelle fabbriche aeronautiche
Junkers, in industrie
chimiche; a Neu Brandenburg, sottocampo di
Ravensbrück, le prigioniere sono impegnate
in lavori di
sterro, le più fortunate lavorano in un’industria
aeronautica e di produzione bellica,
come ad Henigsdorf ( 18 ).
Certo la
destinazione in fabbrica o per lo meno in certe fabbriche, costituisce
per molti deportati
una possibilità in più di
sopravvivenza; il vitto, sia pure di poco, meno scarso, la
possibilità di
difendersi meglio dal freddo, il lavoro meno
pesante che nelle cave o nelle miniere, fecero
considerare la fabbrica
come un "privilegio": Enrico Magenes e Ferruccio Belli, ad esempio,
smistati da Dachau a Kottern bei Kempten attribuiscono a ciò
la loro salvezza.
Le officine possono però diventare luogo di estremo pericolo
per l’internato, quando questi,
per inesperienza, ma spesso per sua
precisa volontà, sabota la produzione,
come ci è
testimoniato da numerosi deportati e, per i pavesi, da Rosa Gaiaschi
Pettenghi:
un modo "esemplare"di continuare la Resistenza.
I pavesi che, a partire dal febbraio 1944 ( i primi furono probabilmente
Edoardo Giorgi
e Alessandro Tartara, giunti a Mauthausen intorno al 20
di quel mese ), entrarono a far parte
dell’ "universo
concentrazionario", oltre alle inumane condizioni di vita di fatti i
deportati,
trovarono difficoltà particolari - come gli altri
italiani di inserimento, di adattamento,
di sopravvivenza: la loro
posizione di ex alleati dei tedeschi generava ostilità e
diffidenza
da parte dei deportati di altri paesi che erano stati
occupati dalle potenze dell’Asse,
mentre su di essi si scatenavano SS e
kapò, assegnandoli "alle squadre peggiori,
ai lavori
più duri"; molti non conoscevano il tedesco, sopportavano
male il clima rigido
dell’Europa centrale, nessuno poteva ricevere
pacchi o denaro:
"Gli italiani erano i più poveri del lager e restarono tali",
ricorderà per Gusen molti anni
più tardi un deportato polacco.
A questa situazione gli
italiani seppero comunque reagire, specie quelli internati per motivi
politici, svolgendo un’opera di "continua chiarificazione verso i
deportati degli altri paesi",
entrando in contatto con i comitati
clandestini internazionali di Resistenza
e costituendone sezioni
italiane che si preoccupavano di prendere contatto con i connazionali
nuovi arrivati: comitati di questo genere si ebbero a Buchenwald,
Dachau, Gusen.
Un’analisi delle date di deportazione dei 73 pavesi, porta a vedere
come la maggior parte
di essi sia giunta nei lager dopo il settembre
’44; questo vale anche per alcuni arrestati
nella primavera o nella
prima estate e per i componenti del CLN.
Ciò può
forse aiutare a spiegare anche la loro distribuzione nei campi e il
fatto
che la maggior parte di essi sia destinata a Mauthausen e a
Dachau.
Già dall’agosto si ebbero infatti le prime
evacuazioni da Auschwitz, che peraltro era un lager
destinato
soprattutto agli ebrei, raggiunto dai sovietici nel gennaio '45,
dopo
che la maggior parte dei deportati era stata evacuata.
Da questo mese,
con il procedere dell’avanzata alleata, si intensificarono le
allucinanti marce
di trasferimento ( ma, in realtà, di
eliminazione ) dei deportati da un lager all’altro,
che si fanno
più massicce dal marzo.
Mauthausen non fu evacuato, ma
divenne piuttosto un centro di raccolta, come Dachau
( dove giunsero i
detenuti di Buchenwaid e Flossenbürg ), dei deportati di altri
lager
e dei propri campi-satellite.
I deportati di Mauthausen vissero i mesi immediatamente precedenti la
liberazione
( avvenuta il 5 maggio 1945 ) nel terrore dello sterminio
totale, che nell’aprile sembrò
diventare una
realtà: non sarà così, ma in quel mese
persero la vita 9 pavesi;
il mese precedente ne erano morti 11; in
febbraio 4; Luigi Brusoni e Giovanni Maccaferri,
che era stato uno dei
primi a giungere nel campo, moriranno dopo la liberazione:
anche per
gli altri campi gli ultimi mesi sono i più terribili.
Dei 73 deportati "politici" pavesi sono tornati in 16.
Da
A. Ferraresi, I deportati
pavesi nei lager nazisti, in
monografie degli
"Annali di Storia pavese", n. 1, 1981.