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FOTOGRAFICA


       



   Costa Pelata: frammenti di una
   battaglia Partigiana


di Antonio Corbeletti

- È ancora buio pesto quando li hanno svegliati.
L’allarme sulla puntata dei tedeschi e dei fascisti è arrivato prima di mezzanotte: l’indicazione
è di contrastarli verso Costa dei Cavalieri .
Non c’è niente di caldo da mettere nello stomaco, bisogna solo coprirsi alla meglio e uscire.
La cascina di Ponticelli, una piccola frazione poco sopra Godiasco, viene lasciata in fretta.
Fuori, nonostante le stelle a volontà, tira un vento freddo che ricorda l’inverno.
Già, l’inverno.
Quasi tre mesi di stenti e sofferenze, pidocchi e poco cibo.
In abbondanza solo neve e ancora neve, anche oltre un metro e mezzo
-

 

 

Sotto l’urto del tremendo rastrellamento le formazioni si erano ridotte di molti effettivi.
Sia per le indicazioni dei comandi che consigliavano il rientro nelle città per non offrire
il grosso dei reparti alla distruzione ( una scelta certo non semplice e non attuabile da molti )
vuoi per le perdite subite.
Per chi era rimasto erano stati i giorni delle "tane di volpe", delle buche scavate per nascondersi
di giorno dai tedeschi e dai repubblichini uscendo di notte per non rimanere paralizzati
dal freddo e dalla fame.
In quel periodo i contadini non avevano mancato di far sentire il loro appoggio in tanti modi,
arrivando a cancellare le tracce sulla neve per evitare di far scoprire quei ragazzi rintanati
nei posti più incredibili, anche se con molta più paura e preoccupazione di prima.
La primavera che si avvicina sembra lasciarsi alle spalle tutto questo.
Ma la guerra non è di certo finita.
Il rastrellamento invernale inizia il 23 novembre 1944.
È condotto da reparti fascisti di bersaglieri della "Littorio" e della "Monterosa"
ed ingenti forze tedesche, due divisioni, compresa la 64a divisione Turkestan composta da ex prigionieri di guerra sovietici
di origine asiatica come ghirghisi e calmucchi - saranno denominati "mongoli"
dagli abitanti delle zone colpite - ai quali viene concessa carta bianca nei saccheggi
e contro la popolazione civile.
L’attacco parte dal Pavese e dal Piacentino, raggiunge velocemente Varzi ( liberata dai
Partigiani nel settembre con l’istituzione di una Giunta Popolare Comunale ) e Bobbio,
per concludersi a metà dicembre.
Per settimane gli scontri si susseguono.
Solo la formazione garibaldina "Capettini", composta da molti elementi del luogo, rimarrà
in alta Valle Staffora e Valle Curone.
Per l’intero mese di gennaio il rastrellamento continuerà come una
vera e propria "caccia all’uomo".
I Partigiani si sottraggono alla distruzione: si sfiancano in marce forzate per passare
attraverso le file nemiche, scompaiono nei boschi e nei cimiteri isolati, si nascondono nelle buche.
Molti sono gli scontri isolati, tanti i partigiani caduti nella neve per cercare di contrastare
la morsa dei brigatisti neri e dei tedeschi.
I segnali di ripresa del movimento Partigiano si evidenziano a partire da febbraio
con la battaglia dell’ Ortaiolo o Ceneri.
In pratica i Partigiani dimostrano di essere in grado di colpire il nemico anche dopo
ripiegamento, non più il colpire e sganciarsi del primo periodo.
Per questo i nazifascisti scelgono di impegnare forze e mezzi
per rioccupare il territorio collinare.
Costa Pelata ,con il successo delle forze partigiane, segna il crollo di questo disegno.

 

 

- Hanno preso posizione.
Da qualche ora sono lì, fermi dentro uno spelacchiato boschetto, proprio sotto
quella costa che tutti chiamano Pelata, vuoi perchè battuta dal vento
o forse per via di quell’unica, esile pianta alla sommità.
Sono ormai le sette e il cielo si è aperto mostrando un azzurro intenso.
È allora che Milan è andato su, quatto quatto, per sporgersi oltre il pendio e vedere
cosa succede in direzione della pianura, Fortunago e Casteggio in primo luogo.
L’imprecazione in dialetto è uscita nitida: ridiscende veloce sull’erba e lancia
l’allarme.
"Arrivano, sono li sotto, i mongoli…".
Così sono chiamati in Oltrepo.
Sono diventati tristemente famosi durante tutto il rastrellamento per la loro ferocia
contro gli abitanti, per le loro selvagge violenze contro le donne.
Milan li ha visti salire a ventaglio, in formazione da rastrellamento.
Sono guidati da ufficiali tedeschi che, a colpi di fischietto, li manovrano.
Avanzano lentamente, non conoscono la consistenza
dello schieramento Partigiano.
In realtà il distaccamento della "Casotti" è composto da pochi uomini,
non più di una quindicina, con armamento leggero.
C’è soltanto il fucile mitragliatore "Bren" di Sole a garantire
una maggiore potenza di fuoco.
Ma l’allarme per il nemico che avanza di fronte si somma all’improvviso
per un nuovo pericolo che arriva alle spalle.
Dalla strada che porta a Zavattarello sono comparsi infatti i primi fascisti
ed è subito un rapido scambio di colpi.
Sono della brigata nera "Spiotta" di Chiavari.
Non sembrano però molto determinati o forse i loro comandanti sono indecisi
non riuscendo bene a capire che situazione si sta determinando.
Anche loro temono di essere colti alle spalle da altri Partigiani, non hanno
una valutazione chiara dei rapporti di forza.
Si bloccano.
Alzano una bandiera bianca e chiedono di parlamentare.
Il capitano incontra Tino e lo saluta romanamente, ha in risposta un saluto
militare dal commissario del distaccamento .
Breve scambio di frasi.
In realtà i fascisti vogliono prendere tempo – aspettano rinforzi e approfittando
della tregua si spostano a lato delle posizioni Partigiane per
ricongiungersi con i tedeschi.
Una classica manovra a tenaglia che apre il combattimento[…]"
-

 

 

[…] Costa Pelata è una battaglia che si spezza in una serie di scontri intensi, che mutano
continuamente di posizione.
Per tutta la giornata la collinetta viene persa e ripresa dai Partigiani.
Quattro volte di salite e discese per quel costone tra le pallottole che fischiano, con attacchi
a colpi di bombe a mano, gli uomini che si fronteggiano da vicino…
Ed in mezzo a tanta tensione, paura e fatica c’è anche bisogno di mangiare.
Così nel pieno degli scontri ci pensa il Comandante Luchino Dal Verme "Maino":
porta del pane, uova sode e due fiaschi di vino.
Sono offerti dai contadini.
Quel povero cibo da spartire in troppi aiuta il cuore, forse, ancor di più dello stomaco perennemente vuoto.
Testimonia, ancora una volta, l’appoggio concreto di chi sa bene che il successo
della puntata nazifascista sarebbe una ulteriore pagina di lutti e sofferenze per tutti.

 

 

- Nella cascina ci sono donne e bambini.
Non si sono accorti di niente, troppo intenti a capire da dove arrivano
gli spari e le grida.
I traccianti incendiano la stalla.
Piemonte e Giacomo scendono di corsa ad avvertire gli abitanti e ad aiutarli
a spegnere le fiamme.
Gli animali vengono fatti uscire - 2 o 3 mucche, alcune capre e un cavallo - mentre
una o forse due mitragliatrici tedesche proseguono il loro tiro.
Due contadini, Giovanni Antonielli e Giuseppe Bonelli, cadranno colpiti
quasi al termine dello scontro.
Arrivano anche gli aerei.
Probabilmente inglesi.
Due caccia bombardieri che scendono in picchiata, provocando anche
preoccupazione tra i Partigiani, vista la mobilità delle posizioni.
L’effetto positivo è determinato più dalla loro presenza – che lascia sgomenti
i rastrellatori – che non dall’efficacia delle raffiche che incidono
il terreno attorno alla Costa.
Nella continua riconquista e abbandono di posizioni Piemonte e Giacomo
incappano in tre brigatisti neri.
Faccia a faccia si ritrovano con le armi puntate.
Più giovani dei Partigiani, infagottati nelle divise dimostrano meno di diciotto anni.
Pochi attimi e lasciano cadere i mitra.
Si buttano in ginocchio, sono spaventati, cosa fare?
Un rapido sguardo tra i due.
Qualche esitazione.
Poi “ Via, via, andatevene…e non fatevi più vedere ”.
L’ordine è raccolto al volo e i tre giovanissimi fascisti, abbandonato
l’equipaggiamento, se la danno a gambe.
Non è così per tutti.
Piovono colpi improvvisi e rabbiosi.
Non è chiara la direzione.
Ma Giorgio, un deciso contadino che conosce quei posti come le sue tasche, ha una
intuizione e si avvicina deciso verso il condotto di cemento lanciando un sonoro
“ Ve' fora Bobi… ”.
Per il fascista che ha continuato a sparare di nascosto – un quarantenne
dall’accento toscano, ben consapevole della scelta fatta, è l’ora di saldare i debiti.
È il tardo pomeriggio, quando “ … dopo due giorni di lotta il nemico stanco,
demoralizzato, duramente provato, rientrava in disordine alle sue basi senza avere
realizzato alcuno degli obiettivi prefissi…le nostre formazioni Garibaldine hanno
durante il combattimento ricevuto il cameratesco ed entusiastico appoggio delle
formazioni Giustizia e Libertà…”.
Così la sintesi di Toni in un rapporto del CVL terza divisione Lombardia "Aliotta"
di qualche giorno successivo allo scontro
-

 

 

Ai piedi della Costa è rimasta una piccola stele, porta i nomi dei due contadini uccisi
e di altri Partigiani caduti nei pressi o in altri scontri.
Ogni anno i protagonisti di quei giorni si ritrovano – senza dubbio più lenti e impacciati di
quando correvano su quella china, si chiamano per nome, riallacciano ricordi e ravvivano
vecchie polemiche - per ricordare quella “ … battaglia decisiva per la storia
delle nostre montagne”
come sta scritto sul cippo corroso dalle stagioni.
Il tempo che scorre è oggi l’avversario, forse, più pericoloso.
Offre una sponda a chi vuole rimuovere, tentare di cancellare, rivisitare, negare
valore e verità alla memoria… ma come scrisse un Partigiano:
“..se dunque più dei malanni o della morte ci pesa l’ipocrisia dominante, oh non temete.
Questo abbiamo fatto e questo resterà luminoso come il sole sulle foglie del monte”

Gli uomini e le donne che si riuniscono ogni marzo in quella curva della strada, incrociando
gli sguardi interrogativi dei gitanti domenicali o dei ciclisti frettolosi, ne sono ancora convinti.

 

 

Il racconto storico è stato pubblicato sul mensile "Il Ponte" nel maggio 1999