Nato a Milano il 25 Novembre 1913.
Di famiglia aristocratica lombarda (il casato, d’origine veronese, nasce
nel 1320 con l’omonimo Luchino Dal Verme, capitano di ventura, poi
infeudato ai Visconti),
Il Conte Luchino dal Verme, come tenente di
artiglieria a cavallo , in forza al reggimento Savoia Cavalleria, combatte
in Francia e sul fronte Jugoslavo . Dal luglio 1941 all’ottobre 1942,
partecipa alla Campagna di
Russia, ed è fra gli scampati al disastro
dell’Armir riesce a far rientro in Italia.
L’armistizio dell’8 settembre lo vede impegnato a Forlì
nell’addestramento di reclute per la ricostituzione del suo reggimento.
Si sente "tradito" dai Savoia che scappano a Brindisi lasciando allo
sbando l’esercito italiano.
Luchino Dal Verme riesce a sottrarsi alla cattura e ritorna al castello di
Torre degli Alberi (nell’Oltrepo Pavese), residenza di famiglia, dove
rimane nascosto per sei mesi.
L’incontro con Italo Pietra, che ha scritto di lui bellissime pagine nel suo
libro "I grandi e i grossi" (Mondadori, 1973, ), lo convince a troncare il
tradizionale legame familiare con la monarchia e ad entrare nella
Resistenza.
Nasce così la leggenda del Conte partigiano, o meglio del "Cònt" come
viene chiamato, nel dialetto locale, tra i suoi uomini.
“È un bell’esempio”, così ne parla Paolo Murialdi dopo averlo
conosciuto.Sono poi poeticamente azzeccate le parole di Corrado
Stajano, che definisce il
partiginato di "nobile aristocratico" come
un’esperienza di un “uguale tra gli uguali”.
Contribuisce ad organizzare le prime formazioni partigiane operanti in provincia di Pavia.
Come nome di battaglia, usa l’appellativo di "Maino". Non nasce però dall’unione
delle parole "mai" - "no" ma, molto più semplicemente,
come divertito spiegherà tante volte
lo stesso Luchino Dal Verme, era il nome di una marca di biciclette.
Diventa comandante dell’88a Brigata "Casotti" ed in seguito viene destinato al comando
della Divisione garibaldina "Antonio Gramsci", alla cui testa, nell’Aprile del ’45 scenderà
dalla Montagna alla Pianura. Diventa un ossessivo bersaglio dei nazifascisti al pari di un altro
leggendario comandante, l’"Americano".
E come lui, comanda i partigiani "garibaldini", vicini al P.C.I,. Sembra un controsenso per un
nobile, mai stato comunista, anzi, cresciuto con una salda formazione cattolica. Ma è lo stesso
"Maino" che spiega.
nel libro "La Resistenza in Lombardia", (1965) le ragioni di quella
sua scelta:
“Ebbi la responsabilità di comando di una formazione Garibaldi e il primo argomento di cui
debbo e voglio parlare sono gli uomini con i quali ho condiviso rischi e responsabilità, in
uno spirito di solidarietà e reciproca fiducia, che è certamente il ricordo più vero e più
importante che mi sia rimasto. Non dimentichiamo che la Divisione "Gramsci", di cui ebbi
la responsabilità di comando, era di promozione comunista. Ebbene, non ho mai saputo
quanti fossero comunisti e quanti no, ma so quanti morirono per tutti noi, per la libertà di
ciascuno di noi. Questo ci impone di sapere cosa ne abbiamo fatto della nostra libertà o per
lo meno che cosa intendiamo farne …”
Numerose sono le azioni che conduce, tendendo imboscate ai nazifascisti lungo la Via Emilia,
distruggendo i binari della ferrovia Torino-Piacenza, ed anche affrontando il nemico a
"viso aperto", come nella battaglia di Costa Pelata, che vede una serie di scontri intensi, che
mutano continuamente di posizione.
Nella notte tra il 25 e il 26 Aprile "Maino", con i suoi uomini, attacca Casteggio, che occupa,
dopo 5 ore di accaniti combattimenti. Il 27 Aprile raggiunge , dove si sentono ancora gli spari di
fascisti e di reparti tedeschi che non si vogliono arrendere.
Ed in una pagina di questo sito, abbiamo voluto raccogliere le parole del Comandante "Maino",
che ricordano alcuni momenti della vita partigiana.
Nel primo dopoguerra, i partiti antifascisti gli propongono di
impegnarsi a livello politico come
candidato alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946,
ma Luchino dal Verme risponde
“No”
a tutti, in quanto non ritiene quell’impegno adatto alla sua indole.
Dopo una breve parentesi a Novara,
ritorna a Torre degli Alberi, da dove non si muove più:
impegnandosi nella difesa delle sue amatissime montagne e continua un’appassionata opera
di testimonianza sul nostro recente passato.
Muore a Torre degli Alberi-Ruino (PV) il 29 marzo 2017.