Placido Rizzotto nasce il 2 Gennaio 1914 a Corleone il da una famiglia di umili origini. Il giovane contadino siciliano si trova con l’esercito nel Nord Italia l ’8 settembre del 1943. Sceglie di unirsi ai "ribelli" combattendo
come partigiano, nelle file delle Brigate Garibaldi, da tesserato del PSI clandestino.
L’aver partecipato alla Resistenza lo cambia profondamente. Matura una forte coscienza sociale e non può guardare inerte le ingiustizie che stanno
accadendo nella sua comunità né tollerare l’appropriazione delle terre da parte della mafia e l’assunzione dei lavoratori per motivi esclusivamente nepotistici. Nell’immediato dopoguerra, ricopre l’incarico di Presidente dell’Anpi Palermo e, soprattutto, quello di Segretario
della Camera del Lavoro di Corleone (oltre che iscritto alla cgil milita nel Partito socialista italiano diventando Segretari della sezione di Corleone).
Si oppone al sistema malsano di assegnazione dei lavori e spinge i braccianti ad occupare le terre e a distribuire a famiglie di contadini onesti quelle tenute incolte dalla mafia.
Si batte per l’applicazione dei "Decreti Gullo" che prevedevano l’obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o malcoltivate dai proprietari agrari.
Inizia a costituire delle cooperative e a occupare i feudi abbandonati ed incolti, dando una possibilità di riscatto a se stesso e ai suoi compagni, osando sfidare i boss mafiosi locali.
La mafia non tarda a reagire, intimidisce i suoi compagni e lo isola in ogni modo.
Già da qualche tempo i padroni, i mafiosi e alcuni "pezzi" dello Stato non tollerano questi "sovversivi". Il Primo Maggio del 1947
cominciarono a seminare terrore con la Strage di Portella della Ginestra e negli anni successivi catturano e uccidono sistematicamente tutti i capi sindacali che osavarono mettersi loro contro.
Purtroppo a questo destino non sfugge neanche Placido nonostante le attenzioni dei suoi fedelissimi collaboratori. ***
La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto fu assassinato dagli uomini di Liggio. Nessun responsabile è stato punito e, ad oggi, il corpo del Segretario della Camera del lavoro non ha ricevuto sepoltura perché, ufficialmente, non è mai stato ritrovato. (ndr: come enunciato in apertura della pagina web, dopo mesi e mesi di studi di laboratorio, nel Marzo del 2012 Il Dna estratto dai resti ritrovati a Corleone, e comparato con quello del padre, è stato attribuito, dalla polizia scientifica di Palermo, a Placido Rizzotto). La società civile però non lo dimentica e lo commemora con la costruzione di un altare laico
Cosa pensò quella sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, quando vide avvicinarsi Luciano Liggio? Il Segretario della Camera del lavoro stava passeggiando per Corleone con Pasquale Criscione, suo vicino di casa e gabellotto dell’ex feudo “Drago”. Erano appena arrivati vicino piazza Nascé, la piazza del mercato, e l’orologio suonò le dieci. Tornavano dal Ponte Nuovo, dove poco prima avevano accompagnato a casa Vincenzino Benigno. Placido voleva salutare il Criscione per tornare anche lui a casa, ma questi lo convinse a fare ancora quattro passi. «Andiamo a vedere la mucca di mio cognato, che deve partorire…», gli propose. Ma l’inaspettato arrivo di quel “malacarne” di Liggio, che Placido riconobbe subito, nonostante avesse il volto quasi interamente coperto da un cappuccio, in un attimo cambiò la sua vita. Per sempre.
La vile imboscata
«Che vuoi?», gli chiese con un tono di voce che si sforzò di mantenere calmo. «Cammina! – gl’intimò, minaccioso, Liggio – Andiamo fuori paese ché dobbiamo “ragionare”». E da sotto il cappotto gli puntò al fianco destro la sua pistola. Continuarono a scendere per via Bentivegna. Pasquale Criscione non parlava, ma non mostrò stupore per quello che stava accadendo. Chissà se questo Placido lo capì. Chissà se si rese subito conto della sorte che lo attendeva. Forse pensò davvero a un “ragionamento”. Nei paesi di mafia “i ragionamenti” erano all’ordine del giorno. Si “ragionava” di tutto: delle cose da fare e delle cose da non fare, delle cose che “piacevano” e delle cose che “dispiacevano” agli “amici”. Forse davvero Placido pensò che Liggio volesse dargli qualche “consiglio”. Perlomeno sperò con tutte le sue forze che fosse così.
Non pioveva, le giornate erano già più lunghe e intorno a loro c’era tanta gente in quella serata di marzo. All’improvviso, però, la strada cominciò a farsi deserta, le imposte si chiusero e Placido capì. Si guardò intorno inquieto, ma non vide nessun volto amico, nessun poliziotto, nessun carabiniere. Ormai sulla strada c’erano solo lui e i suoi carnefici. Sentiva, amplificato, il rumore dei loro passi sul selciato e il sangue cominciò a pulsargli forte nelle tempie. All’improvviso tentò la fuga. Con uno strattone si divincolò dalla stretta di Liggio e cercò di fuggire. Ma riuscì a fare solo pochi passi, perché c’erano altre persone nascoste ad aspettarlo. Allora capì davvero il “ragionamento” che avevano preparato per lui. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma gli buttarono in testa delle coperte, lo afferrarono, lo picchiarono selvaggiamente, lo cacciarono a forza su una macchina che li aspettava vicino alla chiesa di S. Leonardo. E via di corsa fuori dal paese, verso contrada Malvello. Davvero nessuno sentì e vide niente? Placido Rizzotto non ritornò a casa quella sera, non vi ritornò mai più. Aveva appena compiuto 34 anni.
***Il paragrafo La guerra, la lotta Partigiana, la presa di coscienza ha utilizzato come fonte l’associazione culturale per la promozione e la tutela dei diritti umani "ASSALTARE IL CIELO" http://www.reti-invisibili.net/placidorizzotto/