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   Dossier Foibe

Il "Giorno del Ricordo", istituito con la
legge n. 92 del 30 marzo 2004 vuole rendere
omaggio ogni 10 febbraio (data del "Trattato di
pace di Parigi"
, nel 1947 tra gli alleati vincitori
della II guerra mondiale ed Ungheria, Romania,
Bulgaria, Finlandia
e Italia) al dramma delle
"foibe" e dell’esodo delle popolazioni istriane
e dalmate in Italia. Trattare questa terribile
pagina della storia italiana ed europea non è
facile, in quanto è ben presente il pericolo della
strumentalizzazione, vedi la sua manipolazione e
l’uso fatto dalle organizzazioni neofasciste, ma
anche e soprattutto da parte di organismi
istituzionali
e partiti politici.
Inoltre la vicinanza temporale con la
«Giornata della Memoria», può indurre,
in un’errata logica subliminale, ad una
comparazione, a sovrapporre questi due eventi,
generando il pensiero di un Grande e di un
Piccolo Olocausto, in una pericolosa omologazione pseudostorica.
È per questa ragione che questo tema deve essere trattato con rigore storico e storiografico,
delineando i vari contesti ed il portato sociale, culturale, storico, ideologico ed umano, che
porti a tratteggiare la cornice, trovando così la chiave, per decodificare e capire lo svolgersi
di quei tragici avvenimenti.
Un percorso che, rifuggendo e superando alcune delle semplificazioni più deleterie attraverso le
quali propaganda politica e banalizzazione mediatica hanno cercato sovente di presentare le
vicende del confine orientale italiano (come appunto la contrapposizione tra
"Risiera di San Sabba" e "Foibe") vuole risalire ad una realtà storica ben più articolata,
ma non per questo impossibile da rappresentare.


   Gli "Allogeni"

La travagliata vicenda del confine orientale italiano prende vita verso la fine del 1800, ed ha
come punto di partenza il problema Allogeni.
Con questo termine si vuole indicare quei cittadini di uno Stato che rappresentano “minoranze
nazionali, ed eventualmente di lingua o di religione diversa dalla maggioranza e che
conservano una propria individualità culturale e, talvolta, politica.”
.
Questo "problema" si manifestò per l’Italia dopo il 1866, quando il confine orientale del giovane
stato unitario si espanse ulteriormente verso est fino a comprendere il territorio
della ex Repubblica di Venezia, luoghi ( in particolare la Benecija) abitati da una folta minoranza
slovena
. Lo Stato italiano incurante di tradizioni, costumi, lingua, culture locali, impose una
"italianizzazione forzata", soprattutto attraverso la scuola, la burocrazia, la pressione
economica, con l’"italianizzazione" dei nomi e della toponomastica, con una martellante
propaganda sulla pretesa superiorità della lingua e della cultura italiane sulle lingue
e le culture slave.
La situazione peggiorò alla fine del primo conflitto mondiale, quando entro i nostri confini furono compresi territori in cui vivevano sloveni e croati (quasi 500mila persone).
Iniziò da subito l’opera di
"snazionalizzazione", portata alle estreme
conseguenze dal regime fascista.
Così il grande scrittore italiano di lingua
e cultura slovena Boris Pahor, che all’età di
7 anni subì un vero trauma nell’assistere il
13 luglio 1920 a Trieste all’incendio appiccato
dalle squadracce fasciste al Narodni Dom ( la
Casa della Cultura punto di riferimento della presenza slovena in città) descrive quel periodo e lo stato d’animo della popolazione:
“[…] all’angoscia della propria comunità che veniva rinnegata” difatti di lì a poco
arriveranno il divieto di parlare in pubblico la madrelingua e la soppressione di tutte le scuole
slovene
, si arrivò al parossismo “[…] il tutto divenne ancor più mostruoso quando a decine
di migliaia di persone furono cambiati il cognome e il nome, e ciò non soltanto ai vivi
ma anche agli abitanti dei cimiteri”
.
Per il Fascismo, come per lo Stato italiano postrisorgimentale gli "Allogeni" non avevano alcun
diritto, dovevano scomparire in quanto tali: con l’assimilazione, lo sgombero e la deportazione,
o - altrimenti - l’eliminazione.

 

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