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   La Frontiera Orientale

L’invasione ed l’occupazione
fascista
della penisola balcanica del
1941, fece da spartiacque nella
vicenda della Frontiera Orientale.
Nei due anni e poco più della
presenza italiana nei Balcani, si
assistette ad una feroce repressione,
che contemplò anche crimini efferati.
Stragi, rappresaglie, fucilazioni
sommarie, rastrellamenti,
interi villaggi dati alla fiamme, torture
.
Questi odiosi episodi colpivano
soprattutto la popolazione civile,
la quale veniva costretta inoltre a
diventare ostaggio dei militari
italiani
, ed usata come "forma di ricatto e di pressione" nei confronti dei partigiani jugoslavi.
Per dare solo il quadro della situazione, nel periodo dell’occupazione italiana, nella sola
Provincia di Lubiana si contarono 1000 ostaggi fucilati, 8000 persone uccise proditoriamente,
3000 case date alle fiamme, 800 villaggi devastati, oltre 35000 persone deportate ( dati
ripresi dal libro di Angelo Del Boca "Italiani, brava gente?").
E le parole degli stessi ufficiali italiani non possono lasciare dubbi a riguardo:

"Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla
formula: «dente per dente» ma bensì da quella «testa per dente!»"
( circolare 3C
anno 1942 a firma del Generale Roatta)

"Qui se ne uccidono troppo pochi" ( Generale Robotti)

"Gli sloveni dovrebbero essere ammazzati tutti come cani e
senza alcuna pietà"
( Maggiore Agueci)
Nelle regioni occupate ed annesse, dal 3 Aprile 1941 al settembre 1943, furono sterminate circa
350mila persone ( sloveni, croati, serbi, montenegrini).

Di seguito vi proponiamo una lezione sul tema di Enzo Collotti, uno dei più importanti
storici della Resistenza in Europa (il testo è in formato pdf)

Le ocupazioni italiane nei Balcani di Enzo Collotti 64Kb.

 

Come già accennato precedentemente, una delle più odiose pratiche che le forze di
occupazione italiane
imposero alle popolazioni slave fu la deportazione.
Fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il
regime fascista e l’esercito italiano
misero in atto un sistema di campi di
concentramento
in cui furono internati
decine di migliaia di jugoslavi:
donne, uomini, vecchi, bambini,
rastrellati nei villaggi bruciati con
i lanciafiamme. Lo scopo era quello di
eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava
e di eseguire una vera e propria
"pulizia etnica", sostituendo le
popolazioni locali con italiani.
Situati sia in territorio jugoslavo, sia in Italia, tra campi di internamento e di transito,
se ne contarono oltre 100.
In essi migliaia di sloveni, croati, serbi, montenegrini morirono di fame
e malattie. I più vasti furono quelli di Gonars, in provincia di Udine, e il lager situato
sull’isola dalmata di Arbe (Rab).
Il tasso di mortalità di Arbe, dove la capienza era di circa 6500 internati, fu del 19%, superando
persino quello registrato nel lager nazista di Buchenwald che era del 15%( dati ripresi dal libro
di Carlo Spartaco Capogreco "I campi del Duce"). Nel "campo dalmata" le vittime furono
1495, ma secondo fonti il numero dei morti sarebbe oscillante tra i 3500 e i 4500.
Nei campi di internamento italiani la cifra dei morti si aggirò sulle 35mila persone (uccise
soprattutto dalla fame e dalle malattie).
Visti i fatti, non sorprende che, alla fine della guerra, il governo jugoslavo, richiese a quello
italiano l’estradizione di 729 militari e civili italiani accusati di crimini di guerra.
L’istanza non ebbe seguito per il rifiuto delle autorità italiane.

 

Sempre sullo stesso tema alleghiamo una lezione sul tema della storica
friulana Annamaria Vinci (il testo è in formato pdf)

Il fascismo di confine di Annamaria Vinci 55Kb.

 

 

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