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E' MANCATO IL COMPAGNO NERINO GOBBO "GINO", PARTIGIANO GAPPISTA

E’ mancato il compagno Nerino Gobbo “Gino", partigiano gappista, dirigente di Unità operaia - Delavska enotnost, e poi comandante del Secondo settore della città di Trieste al momento dell’insurrezione e nei 40 giorni di amministrazione jugoslava. Trasferitosi in Jugoslavia “per costruire il potere popolare", come egli stesso diceva, fu sindaco e parlamentare, dirigente d’industria e uomo politico.
Fu accusato ingiustamente di avere diretto degli “infoibamenti” (la controversa vicenda della foiba Plutone) e condannato nel 1948; poi graziato da Saragat. In realtà egli aveva arrestato gli infiltrati nella Guardia del popolo responsabili di ruberie e violenze nei confronti dei prigionieri, e che poi si macchiarono anche degli omicidi per cui Gino fu condannato.

Al link sotto indicato potete leggere l’articolo, sotto forma di intervista, che racconta la storia del compagno Gino Gobbo, come lui me l’aveva raccontata in diversi momenti. Per ricordare un combattente della libertà, scomparso pochi giorni or sono, e per rendergli giustizia delle calunnie che ha dovuto subire in vita.
http://www.diecifebbraio.info/2012/05/intervista-a-nerino-gobbo-gino/

Lo avevo conosciuto perché desiderava che qualcuno ricostruisse la sua vicenda giudiziaria e gli rendesse giustizia, nell’estate del 1996. Da questo incontro nacque anche un bel rapporto di amicizia, era una persona di una sensibilità estrema, un analista politico preciso e lucido, un compagno che ha continuato ad impegnarsi fino all’ultimo, nonostante le sue condizioni fisiche fossero ormai precarie.
Ho raccontato la sua storia in un dossier “Operazione Plutone” (sarà disponibile a breve nel sito http://www.diecifebbraio.info/); ma le sue testimonianze mi sono state utilissime anche per ricostruire la storia della Resistenza a Trieste, che ho inserito in altri testi, tra i quali il libro di prossima pubblicazione sull’Ispettorato Speciale di PS.

In calce inserisco una parte dell’intervista pubblicata in “Operazione Plutone” nella quale Gino racconta la sua esperienza partigiana.

Lo ricordo ora, con un pensiero di ringraziamento per tutto quello che mi ha saputo dare nel corso degli anni in cui ho avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo e scambiare con lui idee ed opinioni.
Claudia Cernigoi

L’armistizio dell’8 settembre aveva colto Gino in Valle d’Aosta, istruttore alla scuola di alpinismo. Ma dopo pochi mesi tornò a Trieste…

- Io ritornai a Trieste con altri compagni nel 1944 in un momento molto critico. C’erano stati da poco le fucilazioni di Opicina, le impiccagioni di via Ghega, molti attivisti politici dell’OF e dell’UO [1] erano stati arrestati o uccisi [2]. Per questo il nostro arrivo fu accolto molto bene. Io trovai subito il collegamento col movimento di liberazione attraverso compagni che conoscevo da sempre: nella fabbrica dove avevo lavorato prima di andare militare esisteva già una cellula comunista, anche se io non ne avevo fatto parte. Nel rione di San Giovanni i miei compagni d’infanzia e di giovinezza erano tutti attivi chi nell’OF chi nell’UO. A casa mia vennero un paio di volte i carabinieri a domandare di me, ma i miei dissero che mi avevano dato per disperso dall’8 settembre.
I miei contatti mi procurarono dei documenti della Todt [3] e fui in grado di muovermi liberamente in città. Fui inserito nella Unità operaia del secondo rione (la città era stata divisa in otto zone d’intervento, dette “rioni”); poi quando venne a Trieste la commissione militare a preparare la formazione del Comando città del IX Corpus, la città venne suddivisa in quattro settori territoriali e vennero formati i Comandi di Settore del Comando Città. Di questo processo ho fatto parte fin dall’inizio: dapprima fui nominato commissario politico del II settore, poi all’inizio del ‘45 ne divenni il comandante. Come tale ho partecipato all’insurrezione armata ed i risultati non sono mancati, come pure i riconoscimenti.
- Tra le azioni, vogliamo ricordare l’attentato di via D’Azeglio?
- Sì, via D’Azeglio, 27 marzo 1945. Nel garage Principe, in via D’Azeglio, c’erano mezzi di rifornimento per l’offensiva che la X Mas stava preparando contro il IX Korpus (le forze allora erano in equilibrio perciò si sarebbe trattato di una grande offensiva, e noi dovevamo fare il possibile per sabotare i nazifascisti). All’inizio avevamo pensato di asportare il carburante, ma considerate le difficoltà del trasporto si decise di distruggerlo. Io ho personalmente diretto quell’azione alla quale hanno partecipato altre sei persone: Silvio Pirjevec, Enzo Donini, Sergio Cebroni, Livio Stocchi, Remigio Visini ed un compagno alla sua prima esperienza di lotta, Giorgio De Rosa.
Dopo avere bloccato tutte le strade attorno al garage abbiamo fermato il proprietario, che faceva anche da guardiano, l’abbiamo obbligato a farci entrare e poi consegnato a due compagni che avevano l’ordine di portarlo nella ritirata con sé, di tenerlo prigioniero per motivi di sicurezza; di ucciderlo se le cose si fossero messe male. Invece al momento della fuga non se la sentirono di ucciderlo e lo lasciarono libero. Così riuscì a dare l’allarme che causò la cattura dei quattro compagni e la loro impiccagione.
Io e Silvio entrammo nel garage, dovevamo far saltare in aria i fusti di benzina, ne abbiamo aperto uno e quando la benzina ha iniziato a scorrere, abbiamo lanciato delle bombe e in quel momento è successa una cosa che non dimenticherò mai: la benzina ha cominciato a prendere fuoco in modo talmente rapido che si è sentito un rumore come una sirena, un ululato che andava all’infinito. S’era anche formato un calore enorme, ed a quel punto dovevamo uscire più in fretta possibile, ma quando abbiamo cercato di uscire dalla porticina laterale ci siamo resi conto che la pressione dell’aria era tale che non solo aveva rotto i vetri delle finestre, ma addirittura premeva tanto contro la porta che questa non si poteva più aprire dall’interno. Allora mi sono seduto a terra rivolto verso la porta, più sopra c’era il catenaccio; ho puntato le gambe sulla parte fissa della porta e ho tirato col catenaccio fintanto che non si è aperta una fessura; Silvio ha inserito il mitra in questa fessura e ha fatto forza, riuscendo ad aprire di quel tanto che ci ha permesso di sgusciare fuori, appena in tempo.
Intanto (saranno passati in tutto non più di dieci secondi) i compagni che erano fuori, avendo sentito le bombe e visto le fiamme e non avendoci visti uscire, devono aver creduto che eravamo rimasti vittime dell’esplosione; così si sono ritirati disordinatamente invece di attenersi a quanto era stato previsto nel piano. Stocchi, Cebroni e Visini andarono a cercare Donini a casa, ma questa era sorvegliata perché il padre, primario dell’ospedale psichiatrico, era notoriamente antifascista: Donini riuscì a fuggire, ma gli altri furono arrestati da una pattuglia delle SS italiane. De Rosa invece fu arrestato da una pattuglia della Guardia Civica presso la Rotonda del Boschetto. Dopo la cattura furono ferocemente torturati e la mattina dopo impiccati proprio al muro del garage: questi quattro giovani sono i martiri di via D’Azeglio.
Silvio ed io ci siamo salvati perché abbiamo seguito le regole stabilite: siamo usciti dal garage, ci siamo mischiati alla gente che era accorsa e abbiamo preso sottobraccio una ragazza con la quale ci siamo allontanati e che ci disse: “Se fossero tutti come voi non ci sarebbero più i tedeschi a Trieste”.

  05.05.12 08:00:00 , a cura di Lombardia (contattaci), categorie: Antifascismo, Resistenza, Novità, Memoria, Cultura
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