«È lui! Quest’uomo deve
morire! È un nemico della
nostra
causa, un traditore!
Si chiama Tancredi Galimberti…
è il capo delle formazioni
"Giustizia e
libertà"…
un brigante da strada che
attacca i soldati tedeschi in
nome di assurdi ideali…
È un assassino! Dobbiamo
ucciderlo…
per il bene di tutti…».
Questo un passaggio del racconto
a fumetti che ripercorre la vicenda
di Duccio Galimberti apparso,
il 29 aprile 1973, sulle pagine del
"Corriere dei Ragazzi", la famosa
rivista di fumetti dove fecero la loro
apparizioni personaggi come Nick
Carter, Lupo Alberto, Corto Maltese e tanti altri.
I padri di questa storia sono Alfredo Castelli (ideatore di
Martin Mystère) per i testi e Mario Uggeri per gli spendidi disegni.
Duccio Galimberti, Medaglia d’oro della Resistenza,
proclamato Eroe nazionale dal CLN piemontese, Medaglia
d’Oro al Valor Militare alla memoria, avvocato cuneese,
braccio destro di Ferruccio Parri, fu comandante
partigiano delle formazioni di "Giustizia e Libertà" del
Piemonte, instaurando sull’altura di Paralup, il campo
operativo della propria banda.
Il 3 dicembre 1944 venne trucidato dai fascisti, con una pallottola nella testa, sul bordo di una strada.
La storia, nello specifico, ripercorre gli ultimi giorni di vita di Duccio Galimberti, dalla sua cattura,
avvenuta a Torino il 28 novembre 1944, con le tasche piene di documenti compromettenti, fino alla sua esecuzione sommaria.
Di grande impatto le tavole finali sulla sua morte. Questo il testo dell’epilogo del racconto:
"Due ciclisti avanzano lentamente nel buio della notte. Uno è medico, e ha appena assistito
una partoriente. Al sopraggiungere di una camionetta militare i due, prudenzialmente, si gettano al suolo, mentre il mezzo si ferma
a pochi metri da loro. A bordo, alcuni fascisti e Galimberti.
Il patriota viene costretto a scendere. Sa bene quello che l’aspetta, ma tenta disperatamente di ribellarsi:
«No! Non potete uccidermi senza processo… È un crimine di guerra…».
Gli fa eco la voce beffarda e sprezzante di un repubblichino:
«Non possiamo, dici?…»
Uno sparo, un corpo che si accascia in una pozza di sangue.
«È fatta. Andiamo».
E la camionetta si allontana a tutta velocità.
Poco dopo, i due involontari testimoni dell’esecuzione, si chinano sul cadavere:
«È Duccio Galimberti…,» dice il medico,
«non l’hanno neppure processato per ucciderlo subito. Era troppo pericoloso per loro.»
A chiudere il racconto, un ultimo, amaro commento:
«Oggi ho fatto nascere un bimbo e ho chiuso gli occhi ad un morto… spero che per merito di questo morto, quel bimbo possa vivere in un mondo migliore…».
Quella degli ultimi istanti di vita di Duccio Galimberti non è una descrizione sceneggiata, frutto dell’immaginazione creativa degli autori,
ma si avvicina veramente alla realtà dei fatti come dimostra la testimonianza, resa in pubblico nel 2006, da un contadino, all’epoca 14enne presente alla scena:
«Era domenica, con un
anziano avevo portato in giro il latte e stavo tornando alla mia cascina. Ho visto arrivare un camion con due tipi in
cabina e due sul cassone: uno di questi indossava un giaccone e portava il cappello. Dietro seguiva una vettura
nera. Mi sono girato: dal camion erano scesi tutti e ho visto l’uomo con il cappello e il giaccone camminare sul ciglio
della strada che porta da Cuneo a Centallo. Dalla vettura nera sentivo gridare:
"Uccidi quel bastardo! Uccidi quel
bastardo!". L’anziano mi diceva di non fermarmi, di tirare dritto. Quando mi sono girato di nuovo, l’uomo stava
attraversando un ponticello: E, dopo, ho udito gli spari. Alla sera siamo andati al pascolo e lì abbiamo visto il
corpo. Ci siamo avvicinati. Era caduto sul fianco destro e si era formata una pozza di sangue, dalla faccia, dallo
stomaco e dal cuore. E in tasca della giacca aveva una pera gialla».
Nota a margine: I disegni e i testi del racconto «QUEST’UOMO DEVE MORIRE» sono tratti